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Winspeare, «miracolo» riuscito solo in parte

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Ieri, «Il miracolo», che Edoardo Winspeare, dopo essersi fatto apprezzare per «Pizzicata» e «Sangue vivo», ambientati nel Salento, ha fatto svolgere a Taranto sulla base di un testo di Giorgia Cecere, che aveva già sceneggiato con lui «Sangue vivo». Un testo ineguale, ma non privo di interesse. Si comincia con un bambino, Tonio, che, investito da un'auto, tra la vita e la morte ha visto una luce. Vi ripensa quando, in ospedale, avendo toccato un moribondo, lo vede tornare in salute. La mamma, cui si confida, gli crede, il padre, in presa a mille pensieri di natura economica, gli intima di rinunciare a quelle fisime. Ma il miglioramento della salute del nonno di un amico, che si era rivolto a lui per un aiuto, conferma nel bambino l'idea di essere entrato in possesso di doti eccezionali. Lo deluderà presto proprio la morte di quel nonno e quando anche il papà, per denaro, aveva cominciato a prenderlo sul serio. Un «miracolo» comunque, riuscirà a compierlo egualmente: salvando dal suicidio proprio la ragazza che lo aveva investito, Cinzia, entrata da quel giorno in crisi ulteriormente aggravata da una difficile situazione familiare. È molto ben disegnato, e poi seguito dal regista con sensibilità, il personaggio di quel bambino che prima, con candore, pensa di saper far miracoli, poi, smentito dai fatti, all'inizio è sconfortato, pronto però subito dopo a trovare, nei sentimenti, la soluzione dei suoi problemi e, soprattutto, di quelli degli altri. I personaggi secondari hanno una incisività minore: la coppia dei genitori in crisi, sempre in lite fra loro e, in mezzo, specialmente il padre, pronto solo alla fine a difendere il figlio anche dalla curiosità di una Tv cui inizialmente lo aveva «venduto»; la ragazza investitrice, in polemica con tutto e tutti, fino a tentare il suicidio; alcune figure di contorno, spesso solo sbozzate. Va dato atto comunque alla regia di Winspeare, di esser riuscita a far lievitare sulla storia un clima ora teso ora intenso fino all'emozione che riscatta molti squilibri narrativi. Specie quando li dominano, e allora con lirismo autentico, le cornici di continuo evocate di una Taranto trasformata in un paesaggio di sogno. E di sogni. Non dimentico i due esordienti al centro: il piccolo Claudio D'Agostino, come Tonio, l'acerba Stefania Casciaro, tutta aggressività e risentimenti come Cinzia. Cronaca e poesia nel film libanese «L'aquilone», di una regista, Randa Chahal Sabbag, già incontrata con successo nei festival. L'amore, ovviamente contrastato, fra una libanese e un militare israeliano, su una linea di confine. Realismo quotidiano trasfigurato dal surreale. Con tocchi quasi magici.

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