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di GIAN LUIGI RONDI PELLE D'ANGELO, di Vincent Perez, con Morgane Moré, Guillaume Depardieu, ...

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VINCENT Perez è un attore francese che, fin dai suoi esordi, ha sempre preso in attenta considerazione la qualità dei film che interpretava: dal «Capitan Fracassa» di Scola, a «Indocina» di Wargnier, alla «Regina Margot» di Chéreau, a «Al di là delle nuvole» di Antonioni. Adesso si è sentito maturo per passare dall'altra parte della macchina da presa e si è scritto e poi rappresentato un film delicato ed intenso, in cui hanno spazi soprattutto i silenzi e le allusioni. Al centro una diciottenne di campagna, Angèle (da cui il titolo) che sembra un personaggio di Bernanos portato sullo schermo da Bresson. Con la differenza che il male, anche se la sfiora e qualche volta la ferisce, non lascia mai ombre nel suo animo e, soprattutto, non intacca la sua natura votata, sempre in modo dimesso, alla bontà. I genitori son diventati poveri per un colpo di sfortuna e lei, per non essere loro di peso, va a far la cameriera. Incontra un giovane, Grégoire, di cui subito si innamora anche se l'altro non ha intenzioni serie. Licenziata, perché è stata fuori una notte, prende servizio in un'altra casa dove la morte violenta del padrone la fa sospettare, senza nessuna colpa, di omicidio. Finisce in carcere, dedicandosi subito con passione ma anche senza scosse al giardinaggio. Nel frattempo Grégoire, che si è sposato per interesse con una donna ricca, va a trovarla e, pentito, le propone, appena liberata, di andar via con lui. Ma Angèle rifiuta, proprio perché lo ama e non intende mettere a soqquadro la sua vita. Dichiarata innocente, continuerà a occuparsi di giardinaggio in un conventino di campagna dove c'erano delle suore conosciute in carcere. Saranno loro, un po' più tardi, ad informare Grégoire che era morta dolcemente, come un fiore rimasto senz'acqua. Una storia semplice, dei personaggi però affidati a risvolti anche complessi, quel carattere di Angèle sempre in primo piano seguito senza mai fratture o impennate di racconto, con uno stile in cui le immagini si susseguono all'insegna di una linearità raccolta ed asciutta, per tener lontano dalla vicenda ogni possibile sospetto di patetico, anzi privilegiando il pudore ed il riserbo. Mentre i sentimenti si limitano ad affiorare. Li ricrea una giovanissima esordiente, Morgane Morè, in cui sembra di ritrovare i silenzi e le caste misure espressive di Isabelle Huppert da giovane.

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