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di GIAN LUIGI RONDI L'ANIMA DI UN UOMO, di Wim Wenders, prodotto da Martin Scorsese, ...

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IL Senato degli Stati Uniti ha dichiarato il 2003 l'Anno del Blues. Per celebrarlo, si sono realizzati sette film sotto la guida di Martin Scorsese. Il primo ad arrivare sugli schermi è questo di oggi, scritto e diretto da Wim Wenders e da lui intitolato «L'anima di un uomo» perché nel '77, quando la Nasa inviò il Voyager nello spazio, oltre a musiche di Bach e di Beethoven, come simbolo della civiltà della Terra aveva inserito anche un blues di Blind Willie Johnson, «The Soul of a Man», appunto. E di Blind Willie Johnson, il musicista cieco, e di due suoi colleghi illustri, Skip James e J. B. Lenoir, parla proprio Wenders inventando un modo nuovo di far biografia. A differenza, infatti, di quello che ci aveva proposto nel suo tanto celebrato «Buena Vista Social Club», un documento quasi in diretta dei più noti musicisti cubani di oggi, trattandosi di personaggi non più in vita, ne ha ricostruito l'opera, i rapporti con i loro anni (dai Venti ai Sessanta) e i destini personali per un verso valendosi di alcuni film su di loro, realizzati a suo tempo, ma, non essendo per nulla numerosi, ricostruendone altri, con lo stesso gusto visivo, identiche immagini in bianco e nero, identiche cornici, facendo poi cantare i loro blues, allora a colori e in tempo presente, dai più noti musicisti americani di oggi specializzati nel genere, da Lou Reed, a Lucinda Williams, a Nick Cave, a Los Lobos. Il risultato è quanto mai suggestivo perché si seguono tre vite, senza che si faccia differenza fra il documento d'epoca e la sua ricostruzione, si ascoltano, al passato e al presente, i grandi blues che ne erano alla base e si scoprono, anche con alcune testimonianze dirette, tre personaggi con le loro fisionomie precise. Per un film non è poco.

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