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di CARLO DE RISIO L'ASPETTO più sorprendente dello sbarco in Normandia (6 giugno 1944) è ...

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Infatti, continuò a ripetere: «Vigilare in Normandia». Il comandante in capo in Occidente, von Rundstedt, era di tutt'altro avviso: secondo lui, gli anglo-americani avrebbero iniziato l'invasione dal Passo di Calais, la via più breve. Da questo contrasto al vertice, nacquero dissensi operativi fatali per i tedeschi. Né tutto si fermò qui. Rommel, comandante di un gruppo di armate, intendeva bloccare l'invasione sulle spiagge: molti comandanti di truppe corazzate erano invece del parere di lasciar sbarcare gli Alleati, per poi ricacciarli in mare con una vigorosa controffensiva. La «volpe del deserto» fu comunque un facile profeta, quando disse: «Le prime ventiquattro ore dell'invasione saranno quelle decisive. Per gli Alleati e per la Germania, sarà il giorno più lungo». Per ironia della sorte, il 6 giugno 1944 Rommel era in licenza in Germania e non poté influire subito sul corso degli eventi (era accaduto la stessa cosa due anni prima, quando era iniziata la battaglia di El Alamein). Un flop clamoroso fu quello del servizio meteorologico tedesco, che sbagliò le previsioni. Per contro, gli Alleati approfittarono di un temporaneo miglioramento delle condizioni atmosferiche, per far scattare l'operazione «Overlord». Sui retroscena informativi, sono nate molte leggende. Non è del tutto vero che i tedeschi ignorassero i messaggi-chiave trasmessi dalla BBC alla Resistenza francese, per annunciare l'invasione. Il segreto era racchiuso nei versi di Paul Verlaine, la poesia militarmente più preziosa di tutta la storia letteraria: «I lunghi lamenti dei violini d'autunno/ feriscono il mio cuore con monotono languore». Quando la seconda parte di questi versi fosse stata lanciata nell'etere dalle potenti antenne della emittente inglese, bisognava attendersi lo sbarco entro ventiquattro ore. Fu quello che avvenne; ma, per motivi inesplicabili, la Settima Armata tedesca, che presidiava la Normandia, non venne posta in stato di allarme. David Irving, discusso storico «revisionista», propende anche per un comportamento doloso di alcuni alti gallonati tedeschi; la congiura contro Hitler aveva fatto proseliti e in molti volevano accelerare la fine del conflitto. Eisenhower, comandante in capo alleato, rischiò molto; tanto è vero che tenne in tasca due comunicati: uno per annunciare la riuscita; l'altro il fallimento dell'operazione «Overlord». La storia non si fa con i «se» e con i «ma»; tuttavia, un immediato, energico intervento delle divisioni corazzate tedesche poteva risultare fatale agli Alleati, anche se i numeri erano tutti dalla loro parte. Per il D-Day (Decision Day), erano disponibili 250mila uomini delle truppe d'assalto (con altri due milioni alle spalle); più di 13mila aerei di tutti i tipi, più di cinquemila navi, dalle corazzate ai mezzi da sbarco: una potenza senza uguali. Cinque le spiagge: Utah e Omaha per gli americani; Gold, Juno e Sword per inglesi e canadesi. Le perdite più sanguinose furono lamentate dagli americani a Omaha; la 29ª Divisione fu decimata. Quando si fecero i conti, si scoprì che tra morti, feriti e dispersi, 12mila americani, inglesi, canadesi, francesi degollisti erano rimasti sul terreno. Più gravi le perdite della Wehrmacht che, dopo tre settimane, vide cadere 28 generali, 354 comandanti e circa 250mila uomini. Stalin, attese fino al 28 giugno 1944, per accertarsi che lo sbarco alleato era riuscito e che lo sperato «secondo fronte» era una realtà; poi, scatenò la grande offensiva estiva travolgendo un'armata tedesca dopo l'altra. Al Terzo Reich rimaneva meno di un anno di vita.

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