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Pollini al clavicembalo «sdogana» Monteverdi

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IL «PROGETTO» A ROMA

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Cecilia, nella Sala 700 il «Progetto Pollini», che, vista l'esiguità dei posti - appunto 700 - era diffuso in diretta a circuito chiuso nella Sala Sinopoli, il tutto organizzato da S. Cecilia. Bene dunque che l'Auditorium sia utilizzato in pieno per la musica, scopo per cui è stato realizzato. E per gli appassionati una buona notizia: è stato messo in vendita uno stock di biglietti invenduti e l'organizzazione sta quantificando un certo numero di ingressi in piedi. La nostra attenzione naturalmente era puntata sulle vicende polliniane, visto che, giunto al suo secondo appuntamento, il «Progetto» vedeva Pollini misurarsi con un concerto di cui non era il protagonista, ma semmai l'eminenza grigia. Infatti apriva in solitudine il flautista Michele Marasco con «Syrinx» brano di Debussy per flauto solo - eseguito superbamente -, poi di Berio la «Sequenza I» e «Altra voce», in prima esecuzione italiana, assieme a Monica Bacelli e live electronics. C'era anche Pascal Gallois al fagotto per eseguire da solo la «Sequenza XII» ancora di Berio. Bravissimi interpreti di questa musica costruita per linee orizzontali, che Pollini ha scelto come proiezione in avanti per tornare indietro a Monteverdi che chiudeva il programma. Questa l'intenzione polliniana che soggiaceva al programma, in linea di massima riuscita malgrado qualche riserva. In effetti, se lo sforzo tutto cerebrale di contrappunto lineare nella Sequenza I o le atmosfere minimali che aprono e chiudono «Altra voce» di Berio possono attrarre, neppure la sofferta e perfetta esecuzione di Gallois riesce a nobilitare, al di là dell'esercizio atletico, la gestualità un po' inconsulta della «Sequenza XII». In realtà la differenza tra ribellismo e rivoluzione musicale si delinea quando si passa ai madrigali dei «Libri VII e VIII» di Monteverdi. Qui finalmente appare Pollini, e siede al clavicembalo nell'umilissimo ruolo di continuista e del pari dirige ora con la testa ora con la mano che riesce a sollevare dalla tastiera. Allora, come suona il clavicembalo Maurizio Pollini? Male, dirà il maestro di cappella. Bene, deve invece sostenere il critico musicale, perché Pollini svolge il basso continuo assieme agli archi di S. Cecilia con lineare e pacata asciuttezza, senza mettersi mai in concorrenza coi florilegi dei sacerdoti della prassi musicale antica. Il fine è di liberare le linee vocali, far esprimere i cantanti: Monica Bacelli, Sara Mingardo, Bernadette Manca di Nissa, Mario Cecchetti, Furio Zanassi e Antonio Abete. Tutte voci inclini al melodramma, ma che si sono librate bene tra le volute del canto monteverdiano. Su tutti certo la Bacelli, che della «Lettera amorosa» e del «Lamento della ninfa» dà interpretazione che ricorderemo. Ma poi anche tutti insieme, ottimamente bruniti e scuri nel notturno «Hor che 'l cielo», ovvero gagliardi nel «Di Marte io canto» in «Altri canti d'amor». La loro è interpretazione da cui emergono i valori musicali del pensiero monteverdiano, piuttosto che polverume archeologico. Colmi di madrigalistiche emozioni Pollini ci rimanda a casa con il dubbio che abbia voluto sdoganare Monteverdi. Perché il divino Claudio deve stare nel recinto dalla musica antica e non può anche essere eseguito accanto a Mozart, Beethoven, al Verdi sacro o Berio? Già, perché?

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