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"Le industrie investono in Israele, manca solo l'Italia"

Francesca Musacchio
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“L'Italia non ha un mercato di innovazione così ricco e dinamico più vicino di Israele. Quindi bisogna approfittarne”. Ne è convinto l'Ambasciatore italiano in Israele, Gianluigi Benedetti che, parlando con Il Tempo in occasione della XIII Conferenza degli Ambasciatori e delle Ambasciatrici in corso a Roma, invita le grandi aziende italiane a confrontarsi con un paese che ha fatto della ricerca e dell'innovazione tecnologica un punto di forza tanto da essere definito ‘startup nation'. I numeri della crescita, infatti, sono quelli che fanno la differenza.   Israele è tra i paesi che cresce di più e che investe in ricerca. “Israele oggi cresce al 3,3%, ha 6mila startup, investe il 4,3% del Pil in ricerca e sviluppo. É il primo paese al mondo per investimenti procapite con 674 dollari a persona e nel 2018 sono stati investiti in startup innovative 6 miliardi di dollari. Da questo punto di vista Israele é uno dei primi paesi, piccolo per quanto sia, ma è uno dei primi paesi al mondo sia come crescita che come investimenti su ricerca e innovazione e come risultati di innovazione”.   Cosa può significare questo per l'Italia? “Uno dei temi veramente importanti guardando Israele é il valore della nostra collaborazione scientifica e industriale bilaterale in termini di priorità per rafforzare le nostre capacità tecnologiche e di innovazione. Questo credo che sia uno degli aspetti in questo momento più interessanti. In questa lunga amicizia che dura da 70 anni, e che durerà ancora, oggi ci troviamo in un momento in cui, per le caratteristiche del sistema economico italiano e israeliano, siamo di fronte ad una finestra di opportunità che può essere colta con un beneficio reciproco. L'ecosistema israeliano, così dinamico, ha determinato la presenza in Israele di 350 multinazionali straniere che sono impegnate a fare attività di ricerca e sviluppo. A parte le grandi aziende americane che sono lì da sempre, sono arrivate negli anni multinazionali dall'Europa, dalla Cina, dal Giappone, dalla Corea del Sud. Ma non è un quadro statico perché Israele è in continuo movimento e anche questa etichetta di ‘startup nation' sta cambiando”.   In che modo? “Israele sta cercando progressivamente di industrializzarsi. Chiaramente questo processo di passaggio per aiutare le imprese a rafforzarsi e crescere, gli israeliani lo fanno con l'aiuto dell'industria straniera. Le capacità che non hanno le devono prendere in qualche modo da chi ce l'ha e si rivolgono ovviamente alle grandi industrie straniere, in primis gli americani. In questo percorso che Israele sta compiendo, l'opportunità che l'Italia diventi un partner privilegiato è dietro l'angolo perchè noi siamo comunque la secondo potenza manifatturiera in Europa, la settima al mondo, e quindi proprio in una logica win-win di interesse reciproco possiamo rappresentare un sistema complementare rispetto a Israele. L'interesse israeliano è acquisire competenze da multinazionali straniere e noi possiamo offrire tantissime competenze. Le nostre aziende sicuramente possono andare in Israele e presentarsi come partner ideale. A loro volta possono sfruttare tutto il sistema di crescita tecnologica che Israele offre. E per gli israeliani il sistema italiano è l'altra faccia della medaglia”.   Esistono aziende italiane che lavorano in Israele in ricerca e sviluppo ? “Sono poche. Tra le aziende presenti al momento per fare ricerca e sviluppo oggi c'è Enel, STMicroelectronics, e Adler e lì ci fermiamo perché poi le altre grandi, tipo Leonardo, Telecom o Snam, FCA ci sono, ma con altri tipi di collaborazione”.   Perché? “É una domanda che ha un insieme di risposte. Dal mio punto di vista, però, nessuna tiene veramente, perché se fossero veri tutti gli stereotipi, potremmo fare una lunga catena. Ma nessuno di questi è valido perché altrimenti non ci sarebbero 350 multinazionali straniere. I problemi di questo tipo di valutazione, di vantaggio o svantaggio aziendale, esistono per tutti. Allora perchè altre aziende sono presenti e noi non ci siamo?”.   Se questa è l'analisi e abbiamo questa finestra di opportunità cosa possiamo fare? “Dobbiamo ricordare dove siamo e qual è il nostro rapporto con Israele. In Europa siamo forse il paese che va più d'accordo, abbiamo relazioni diplomatiche ottime, collaborazioni di carattere commerciale sempre in espansione e il turismo è diventato una grandissima voce del rapporto bilaterale. Tra Italia e Israele ci sono tutti i presupposti per avere un rapporto accademico e scientifico molto robusto. Dobbiamo avere il coraggio di fissare obiettivi politici grandi. Spingere le nostre grandi aziende ad avere un impegno maggiore nei confronti di Israele. É quello che hanno fatto i giapponesi tre anni fa andando in Israele con 100 imprenditori al seguito. I tedeschi e o francesi sono presenti con 20 aziende. Le nostre multinazionali che fanno ricerca devono trovare una loro collocazione in questo mercato. Quello che va valutato è anche il recupero di innovazione e tecnologia che noi possiamo ottenere sfruttando le startup israeliane perchè Enel lo dimostra in un anno e mezzo di presenza. Il vertice bilaterale tra Italia e Israele, che si terrà a fine anno, potrebbe essere il momento per fissare un obiettivo. I presupposti ci sono tutti”.  

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