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Aprite almeno i cantieri di Amatrice, il terzo inverno nelle casette tra silenzio e promesse mancate

Non c'è una gru in nessuno dei paesi crollati e molte macerie non sono mai state portate via

Silvia Mancinelli
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C'è una frase che rimbomba come un eco violento tra le montagne di Amatrice, Accumoli, Arquata del Tronto. “Ma volete proprio che abbandoniamo queste terre, le nostre terre?”. E' l'urlo della gente che non ne può più, dei terremotati che oggi per l'Italia sono diventati un fardello. Scomodi, pure quando non si lamentano mai, “demagoghi” quando chiedono maggiore attenzione sentendo parlare di accoglienza, nuovi sbarchi, immigrati.  Sono uomini, donne, tanti anziani e molti bambini che si sono visti sbriciolare la vita da un giorno all'altro. Che sono stati privati dell'amore di genitori, figli, fratelli e amici dalla terribile scossa del 24 agosto 2016 e da quelle che dopo, più o meno forti, li hanno condannati a una nuova esistenza fatta di sussulti, paura e incertezze. A loro era stata promessa la ricostruzione. Gli erano state asciugate le lacrime e una pacca sulle spalle li aveva convinti ad aspettare, sperare, contare i giorni che li avrebbero portati l'inverno successivo ad avere di nuovo un tetto sulla testa. Oggi sono passati 899 giorni, “del tempo di guerra” come li conta una amatriciana doc, e le parole si sono rivelate polvere al vento. La retorica dei social, così la chiamano da dietro le scrivanie, vuole che Amatrice e i comuni distrutti dal sisma siano un pretesto usato dai demagoghi contrari ai nuovi sbarchi, per richiamare l'attenzione sulle urgenze dell'Italia a dispetto di quelle degli immigrati sulle coste. È la realpolitik che spacca un intero Paese, afflitto nell'immediatezza del terremoto nel piangere tutti quei morti innocenti e poi presto impegnato a volgere lo sguardo altrove.  Mossi dall'altruismo, senza però considerare le inesistenti risorse per accogliere degnamente in una Italia che fatica a badare alla propria gente. Nella logica sempre funzionale del “divide et impera” accade dunque che il Paese si spacchi in due, tra chi guarda al mare e chi assiste impotente alla neve che per la terza volta da quando i monti hanno tremato scende a coprire le macerie e le inadeguate soluzioni per l'emergenza abitativa. Le Sae, casette piccole, con pendenze al contrario, condutture montate in superficie nonostante le temperature bassissime con il risultato che l'acqua ghiaccia e non arriva nemmeno ai rubinetti.  Ad Amatrice, a dicembre 2017, una lettera alla Regione Lazio inviata dal responsabile del Settore VI Assistenza alla popolazione post sisma segnalava il... SE VUOI CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI

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