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Il delitto di Ladispoli come quello di Garlasco e Perugia

Marco Vannini

Marco, 21 anni, ucciso nella casa della fidanzata. In primo grado condannato il padre della ragazza a 14 anni, la moglie e i due figli a 3 anni. Si rischia un altro iter processuale lungo e complesso

Daniela Cursi
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Il delitto di Ladispoli come il delitto di Garlasco. Come il delitto di Perugia. Tre vicende processuali lunghe e complesse destinate a una lunga attesa prima che la verità processuale coincida con la verità dei fatti. La sentenza sull'omicidio di Marco Vannini ha deluso la richiesta del pm. Adesso non resta che l'attesa dell'appello. È già un caso di forte impatto per l'opinione pubblica, come lo sono stati i processi per l'omicidio di Chiara Poggi e di Meredith Kercher.  Il processo per l'omicidio di Chiara Poggi, che ha visto come unico indagato il fidanzato Alberto Stasi, è passato da una sentenza di assoluzione in primo grado - per insufficienza di prove - e in appello - "per non aver commesso il fatto”, per poi proseguire con un processo d'appello Bis, ottenuto in seguito alla nota perizia computerizzata sulla camminata, che si è chiuso con una condanna a 24 anni di reclusione per “omicidio volontario”. Sentenza-bis confermata in Cassazione, con una condanna a 16 anni di reclusione. Senza un movente e senza l'aggravante della crudeltà. Da Garlasco a Perugia, il processo per l'omicidio di Meredith Kercher, accanto alla condanna in via definitiva con rito abbreviato di Rudy Guede, ha visto salire alla sbarra, come concorrenti in omicidio, Amanda Knox e Raffaele Sollecito: condannati dalla Corte d'Assise e successivamente assolti e scarcerati dalla Corte d'Assise d'appello “per non avere commesso il fatto”. La Corte di Cassazione, però, ha annullato la sentenza assolutoria d'appello rinviando gli atti alla Corte d'Assise d'Appello di Firenze. La Corte d'Assise d'Appello di Firenze ha condannato Amanda Knox a 28 anni e 6 mesi di reclusione e Raffaele Sollecito a 25 anni di reclusione. La Corte Suprema di Cassazione, infine, ha annullato senza rinvio le condanne a Sollecito e Knox, assolvendoli per non aver commesso il fatto. Due fatti di cronaca nera, due travagli processuali forse guidati da un'unica matrice: In dubio pro reo. In poche parole, dal Digesto Giustinianeo alle nostre aule di tribunale, di fronte a un dubbio ragionevole il giudice è obbligato ad assolvere, perché la colpevolezza va provata oltre ogni ragionevole dubbio. L'omicidio di Marco Vannini un colpevole in primo grado lo ha “trovato”: è Antonio Ciontoli, padre di famiglia che dichiara di aver sparato per sbaglio al fidanzato della figlia. Per lui, la condanna a 14 anni di carcere (contro i 21 chiesti dal PM) per omicidio volontario. La fidanzata di Vannini sconterà 3 anni, così come la mamma Maria e il fratello Federico. Per loro la condanna di  omicidio colposo. Assolta, invece, la fidanzata del giovane Federico. Con la sentenza di primo grado, il delitto di Ladispoli ha redatto la prima pagina di un iter giudiziario che, probabilmente, non finirà qui. E come il delitto di Perugia e il delitto di Garlasco, potrebbe riservare dei colpi di scena. E' quello che si augura l'opinione pubblica che, unita e compatta, si riversa sui social motivata dallo sdegno.  Questa volta non esiste scissione tra colpevolisti e innocentisti. Sono quelle telefonate al 118 a fugare ogni dubbio.Sono i pezzi mancanti a mantenere viva la sete di verità. Perché la verità, questa è la sensazione generale, probabilmente deve ancora emergere. Resta in memoria: un'alternanza di bugie al 118 che si sono tradotte in una mortale omissione di soccorso; un padre colpevole che trascina in tribunale un'intera famiglia o forse la protegge; una fidanzata - membro esterno della famiglia come la vittima Vannini - che si lascia coinvolgere nel “dramma”; una vittima che muore lentamente davanti alla fidanzata inerme. E una dinamica dei fatti che ancora oggi non è chiara.

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