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Dalla coca ai sequestri senza ritorno La lunga carriera di «Lallo lo zoppo»

L'inguaribile vizio criminale di Laudavino De Sanctis L'ultimo arresto a Centocelle quando aveva 68 anni

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Friedrich Nietzsche, in Morgenröthe, l'opera con cui si avvia verso quella «guarigione» che viene a coincidere con la sua perfetta maturità, percepisce, grazie alle sue antenne ipersensibili, come i «delinquenti scoperti» non soffrano «del delitto, ma dell'ignominia, o del cruccio per la stupidaggine commessa, o della privazione dell'elemento abituale». L'EVASIONE Laudavino De Sanctis, soprannominato «Lallo lo Zoppo» da quando, durante un'evasione dal carcere di Regina Coeli, si era fratturato una gamba, valida, in occasione del suo ultimo arresto, alla bella età di sessantotto anni, l'intuizione del filosofo tedesco, fornendo plateale dimostrazione di «come sia raro» incontrare «(nei) carceri e (negli) stabilimenti di pena (...) un inequivocabile «rimorso di coscienza: ma tanto più spesso, la nostalgia dell'antico, malvagio, amato delitto». Delinquente di tutto rispetto (sette omicidi, quattro sequestri di persona, undici condanne definitive alle spalle e, dunque, un ergastolo per effetto del cumulo delle pene), trascorsi già una ventina d'anni in carcere, gli ultimi dei quali a Porto Azzurro, ormai ultrasessantenne, alla fine degli Anni Novanta, l'anziano boss, di fronte al quale aveva tremato mezza Roma, nel richiedere la liberazione o il differimento di pena per sottoporsi alla cosiddetta «sperimentazione Di Bella», poiché affetto da un linfoma maligno, suggerisce al tribunale di sorveglianza di considerarlo «per quello che è oggi: un detenuto modello e non per quello che risulta dalle carte del processo». Ottenuta la detenzione domiciliare per motivi di salute e il permesso di uscire di casa quattro ore al giorno, per andarsi a curare, lungi dal vivere da tranquillo pensionato, nel 2004, assieme al fratello Pietro, ormai ottantenne, in barba alla malattia e all'età, «spinge la roba» a Centocelle. Scoperto il «movimento», la polizia va a casa sua, dove rinviene e sequestra due chili di droga e una pistola; ma Lallo non ci tiene ad essere arrestato; sale a volo su un motorino modificato e «dà birra» ai poliziotti. Quelli, però, alla fine lo acciuffano, sicché, mentre varca la soglia di Regina Coeli, lo Zoppo si sfoga: «Non m'importa di tornare in carcere. Ma non mi perdono di essermi fatto prendere così: senza accorgermi che la polizia mi pedinava». IL DEBUTTO Quella di Laudavino De Sanctis col delitto è stata una frequentazione esemplare. Alla fine degli anni Cinquanta, comincia con qualche furto, ma è un tipo sveglio, dunque passa presto alla «spaccata», reato da specialisti, assai frequente in un periodo in cui i gioiellieri non hanno ancora blindato le vetrine, e che rende bene. Per salire alla ribalta della cronaca, come stella di prima grandezza nel firmamento criminale capitolino, dovrà attendere, però, il 21 febbraio 1975, quando si manifestano per la prima volta, almeno per quanto se ne sappia, la sua abominevole ferocia, il suo rapporto addirittura morboso con la violenza, il suo animalesco disprezzo per la vita umana, che diventano da allora una costante del suo agire delinquentesco. Sono circa le diciotto, quando nella Capitale sta per consumarsi la quinta rapina del giorno, ai danni dell'ufficio postale di piazza dei Caprettari, vicino al Senato, in pieno centro. Un bandito aspetta al volante di un'auto pronta a ripartire, altri entrano, con le armi spianate. Nell'ufficio sono in servizio gli agenti di pubblica sicurezza Rito Spagnuolo e Giuseppe Marchisella, il quale, però, è in bagno quando i rapinatori a volto scoperto affrontano lo Spagnuolo. Al suo apparire, i banditi sorpresi perdono la testa e sparano, arraffano quello che possono e fuggono. Bottino esiguo: 400 mila lire. Colpito mortalmente da una raffica di mitra, Marchisella muore il giorno successivo in ospedale. Ma la tr agedia non finisce lì. Cinque giorni dopo la sanguinosa rapina, sconvolta dal dolore, Clara Calabresi, la fidanzata dell'agente ucciso, si getta dal quarto piano della sua abitazione a Barletta; resta in coma dieci giorni prima di morire; dovevano sposarsi proprio quel mese. L'eco della rapina non si è ancora spenta quando si trova il cadavere carbonizzato dell'autore del furto dell'autovettura usata dai rapinatori, il diciottenne, Claudio «Topolino» Tigani, uno che sapeva troppo. LA BANDA DELLE TRE «B » È proprio indagando sul suo omicidio che la polizia risale al claudicante Lallo e a due dei suoi complici, Albert Bergamelli e Jacques Berenguer, capi, con Maffeo Bellicini, della «gang delle tre B», che ormai da qualche tempo sta mettendo Roma a ferro e fuoco, anche per sanguinosi regolamenti di conti. Sempre per l'assalto di piazza dei Caprettari, nel gennaio del 1981, Giacomo Palermo, anche lui rapinatore, e la sua convivente, Angela Piazza, rei d'aver deciso di testimoniare, saranno sequestrati, portati in una villa a Lavinio, costretti a scrivere una «ritrattazione», poi recapitata al Tribunale, e finalmente trucidati. LE BELVE A partire dal 1976, in parallelo col declinare della «gang delle tre B», Lallo lo Zoppo farà un ulteriore «salto di qualità» con i sequestri di persona, avvalendosi di un'organizzazione tutta sua, la «banda delle belve», formata anche con i resti del clan dei marsigliesi e qualche fuoriuscito dall'Anonima calabrese, già protagonista del clamoroso rapimento di Paul Getty, nipote del miliardario americano. Il primo colpo del nuovo sodalizio va decisamente male, soprattutto per la vittima: Antonella Montefoschi, figlia di un grossista di carni, reagisce e un bandito fa partire un colpo di fucile che la raggiunge alla testa: muore dopo giorni di agonia. Segue, nel 1980, il rapimento di Valerio Ciocchetti, industriale del marmo, il cui corpo crivellato di colpi verrà trovato nel Tevere qualche mese dopo, quando la famiglia ha già pagato parte del riscatto. Nell'aprile del 1981, è la volta del «re del caffè» Giovanni Palombini, ucciso quasi subito, senza che s'interrompano le trattative con i familiari: per convincerli a cedere il cadavere, già conservato in un congelatore, dopo essere stato adeguatamente «truccato», viene fotografato. L'ultimo sequestro, nello stesso anno, è quello della tredicenne Mirta Corsetti, figlia di un ristoratore, poi liberata dalla polizia. GLI OMICIDI Laudavino De Sanctis sarà anche sospettato dell'uccisione del dottor Giuseppe Furci, responsabile sanitario di Regina Coeli, assassinato nel dicembre del 1980, che più volte gli ha negato il permesso di essere trasferito in ospedale, quantunque l'attentato venga rivendicato dalle Brigate Rosse; dell'uccisione del dottor Antonio Mottola, il cui cadavere viene bruciato: pare si sia prestato a curare Palombini durante la prigionia, divenendo per questo un testimone scomodo, nel che vi sarebbe un'impressionante analogia con la fine di Claudio «Topolino» Tigani; di essersi liberato di vecchi amici divenuti antagonisti, come Paolo Provenzano. In nessuno di questi casi, però, si supererà la soglia del semplice sospetto.

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