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Il killer con gli occhiali tondi

Il 24 febbraio del 1987 un giovane uccise a coltellate il figlio di un professore liceale e ferì la figlia e la moglie

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I cronisti che quel giorno arrivarono in redazione ebbero appena il tempo di prendere penna e taccuino. Due auto con i fotografi a bordo li aspettavano sotto al giornale, il motore acceso, pronte a partire. «Uno studente fuori di testa ha ucciso a coltellate il figlio del suo professore di liceo e ha ferito la moglie e la figlia. Sono gravi», disse laconicamente il coordinatore della cronaca, che per eccitarsi dopo decenni di «nera» aveva bisogno minimo di una strage. Tre giornalisti si misero subito in movimento. Il primo raggiunse Montesacro, dove abitava la famiglia della vittima, il secondo l'ospedale dove erano state portate le due ferite. Il terzo, infine, si recò nell'istituto scolastico nel quale insegnava il docente. È la mattina del 24 febbraio 1987, un anno prima c'è stata la tragedia di Chernobyl, il governo è guidato per la seconda volta da Bettino Craxi e nelle piazze si manifesta contro il nucleare. Alle 8,45 di quel martedì un giovane alto un metro e 70, sui vent'anni, magro e con un paio di occhialetti da vista tondi e dalla montatura sottile sul naso, si presenta in via Levanna 35, nella zona di Città Giardino. Lo sconosciuto suona alla porta di Valerio Aprile, nato 49 anni prima a San Cesareo, in provincia di Lecce, docente di Elettronica all'istituto tecnico industriale «Galileo Galilei» di via Conte Verde, frequentato da 1600 alunni. Il «prof» in quel momento è a scuola e così anche il figlio maggiore, Patrizio, che di anni ne ha diciassette. Ad aprire la porta dell'appartamento con giardino al piano terra al giovane, che indossa un paio di jeans e un giaccone, è la moglie trentanovenne Fiorella Baroncelli. La donna lo conosce. Lo ha già visto un'altra volta. È stato lì anche cinque giorni prima e ha chiesto di un libro lasciato per lui dal capofamiglia, ma Fiorella non sapeva dove fosse il volume e così gli aveva detto di tornare. E lui lo ha fatto. «Il professore mi ha spiegato che è sulla sua scrivania». Questa frase è la scusa per intrufolarsi nell'abitazione. Da quel momento a casa Aprile, un soggiorno, tre piccole camere da letto, bagno e cucina, è l'inferno. Il ragazzo, che ha il volto pallido, quasi terreo, estrae dalle tasche della giacca un affilato coltello e sussurra con gelida rabbia alla signora Baroncelli: «Stai zitta e non ti faccio niente: dimmi dove sono i soldi». Lei indietreggia, terrorizzata. «Sono nel comò», gli dice. Lui la blocca e la lega a una sedia in modo sommario con dello spago. Quindi, invece di dirigersi verso il mobile, lancia un'occhiata inquisitoria verso gli altri locali: «Chi c'è lì?», chiede. E, senza attendere la risposta, corre nella stanza dell'ultimogenito, Cristiano, di dodici anni. La poveretta sente le urla dei figli (in un'altra camereretta c'è la quindicenne Giada), riesce a liberarsi senza difficoltà dai legacci e si precipita a proteggerli. Lo sconosciuto non esita a colpire anche lei. La tempesta di pugni e calci. Poi le sferra alcuni fendenti dietro al collo. A questo punto, preoccupato per le grida e temendo che possa arrivare qualcuno, si dà alla fuga. Fiorella riesce a raggiungere il pianerottolo e dà l'allarme alla donna delle pulizie, che chiama il 113. Agli agenti della Mobile che intervengono sul posto si presenta uno spettacolo agghiacciante: i letti dei bambini sono in disordine, le lenzuola lorde di sangue. Tracce ematiche vengono trovate anche nel bagno, come se le vittime avessero tentato, invano, di sfuggire alla furia omicida. Ma non c'è segno di colluttazione. I ragazzini non si sono difesi, non hanno fatto in tempo. Giada e la mamma vengono trasportate al policlinico Umberto I. La piccola è stata raggiunta da quattro coltellate, una al naso, una alla schiena, una all'orecchio sinistro e una al fianco sinistro. Fiorella sta peggio. È ferita alla testa e alla gola. Tutte e due se la caveranno. Niente da fare, al contrario, per Cristiano, colpito da otto fendenti al torace, al volto e alle spalle. In un primo momento si pensa al gesto di uno studente che covava rancore per il professore. Valerio Aprile insegna anche in una scuola privata e impartisce ripetizioni in via Levanna. Non ha mai avuto problemi con i suoi allievi, però. Ed esclude che il movente possa essere quello della vendetta per una bocciatura. Anche la logica fa scartare questa pista. «Avrebbe avuto senso subito dopo gli esami e non a tanti mesi di distanza», fa notare il preside del Galilei. Due anni prima, tuttavia, la moglie del docente di Elettronica ha subito un'aggressione. Un uomo l'ha seguita fin dentro casa e le ha rapinato alcuni oggetti di valore, tanto da convincere la coppia a installare le grate metalliche alle finestre e a raccomandarsi con i figli di non aprire a nessuno. In ogni caso, gli studenti che frequentavano l'appartamento vengono interrogati, i loro alibi controllati, le loro vite scandagliate. Niente. Così si comincia a pensare a un tossicodipendente in cerca di denaro per la dose quotidiana. In base alle testimonianze delle vittime e della donna delle pulizie, viene disegnato un identikit dell'assassino. Cento agenti della squadra investigativa di San Vitale vengono impiegati nelle ricerche e l'immagine stilizzata del killer è in bella mostra sui cruscotti di tutte le volanti in servizio. Ma gli sforzi della polizia non vengono premiati. E l'ipotesi del «tossico», anche se è l'unica che resta, non spiega come mai quel giovane emaciato conoscesse il nome e la professione di Valerio Aprile.

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