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Macron, Le Pen e quello che manca ai pro-euro

Marine Le Pen ed Emmanuel Macron (LaPresse) Foto: Marine Le Pen ed Emmanuel Macron (LaPresse)
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Tra poche ore si apriranno le urne per il secondo turno delle presidenziali francesi. Stando ai sondaggi, il candidato centrista Emmanuel Macron veleggia sopra il 60% dei consensi e quindi non dovrebbe aver difficoltà a conquistare l'Eliseo ai danni della candidata frontista Marine Le Pen. Al primo turno le rilevazioni statistiche si sono dimostrate assai precise e quindi non c'è motivo di dubitarne l'attendibilità al ballottaggio. La più che probabile vittoria di Macron sarà accolta dalle istituzioni europee con un sospiro di sollievo per l'ennesimo pericolo populista scampato, un po' come avvenuto solo qualche settimana fa in Olanda con la conferma di Mark Rutte ai danni di Geert Wilders. Eppure ci sono ragioni per ritenere che la resa dei conti, se l'Europa non dovesse in qualche modo cambiare marcia nelle politiche economiche, di sicurezza e di gestione dell'immigrazione, sia soltanto rimandata. Il motivo è semplice: per quanto contestabili - e in alcuni casi anche insensate - le soluzioni messe in campo dai cosiddetti partiti populisti sono le uniche al momento avanzate per trovare una via d'uscita ai mali che attanagliano il vecchio continente. Ripeto: solo soluzioni talvolta apertamente estreme e probabilmente inattuabili, ma a loro non viene contrapposto, dagli europeisti, altro che lo status quo. Un esempio di quanto sostengo sta in un lungo articolo scritto per “Repubblica” da Roberto Perotti, ex commissario per la spending review del governo italiano, che prova ad affrontare senza preconcetti il tema dell'uscita dall'euro. Perotti, in particolare, si professa europeista, ma sostiene che liquidare come follie le idee di chi - come l'economista Claudio Borghi Aquilini - è fautore dell'addio alla moneta unica, sarebbe sbagliato. Di qui una lunga analisi che provo a riassumere: il maggior vantaggio che, secondo i no-euro, arriverebbe dal ritorno alla lira sarebbe la possibilità di svalutare la propria moneta e in passato - in altri Paesi come la Finlandio o la stessa Italia degli anni 70/'80 - la svalutazione è stata il motore di un sostenuto sviluppo economico. Questa tesi è ovviamente contestata dai pro-euro per svariati motivi. In primis la svalutazione della lira, nei mesi immediatamente precedenti, causerebbe una forte fuga di capitali all'estero, perché le persone preferirebbero che i loro risparmi restassero quotati nel più forte euro. In secondo luogo, il debito pubblico contratto in euro aumenterebbe in valore e lo Stato rischierebbe il default. Inoltre non è detto che una svalutazione farebbe aumentare le esportazioni, perché gli altri Stati potrebbero innalzare dei dazi doganali contro l'Italia. E gli italiani, peraltro, pagherebbero molto più caro per i prodotti importati dall'estero. Infine, una cosa è la svalutazione nella disciplinata Finlandia. Un'altra rischierebbe di esserlo in un'Italia dalla finanza allegra in cui la corsa disperata al tassa e spendi ha provocato la voragine nei conti pubblici di cui tutti sappiamo. Sono tutte obiezioni alle quali i no-euro oppongono altre deduzioni: si potrebbe, ad esempio, impedire per legge di portare i capitali all'estero. O magari si potrebbe optare per un “default parziale” per alleggerire il debito pubblico eccetera. È una lettura molto interessante che consiglio. Ma, al di là di come la si pensi, non fa altro che confermare quanto ho scritto in precedenza. Da una parte ci sono proposte, dall'altra la negazione di queste proposte e nient'altro. Cosa c'è da cambiare, secondo i pro-euro, nella politica monetaria finora messa in pratica dall'Unione? Mistero. Le uniche iniziative forti sono state prese dal presidente della Bce Mario Draghi, il cui Quantitative Easing (l'acquisto massiccio da parte della Banca Centrale Europea dei titoli di Stato di Paesi in difficoltà) è stato peraltro aspramente criticato da Germania e altri governi rigoristi come quelli del Nord Europa. Stesso discorso per l'immigrazione. Assodato che chiudere le frontiere è praticamente impossibile, disumano e probabilmente anche anti-storico, qual è la soluzione per gestire meglio i flussi che arrivano da Asia e Africa? E poi: fermo restando che le semplici espulsioni di musulmani radicalizzati non bastano per arginare il fenomeno terroristico, e che i terroristi spesso sono europei di seconda o terza generazione, quali sono le risposte dei moderati ai partiti populisti? Sono tutte domande che i filo-europeisti non possono più eludere a lungo. Perché archiviate le elezioni francesi arriveranno quelle in Germania, poi quelle in Italia e via dicendo. E tra cinque anni, se Macron dovesse deludere le aspettative, un'altra Le Pen o chi per lei ci riproverà in Francia con molte più chance di farcela. E non basterà dire che l'Europa unita ci ha garantito il più lungo periodo di pace mai vissuto da questo continente o che grazie all'euro abbiamo potuto comprare casa con tassi d'interesse bassissimi sui nostri mutui. Siamo tutti grati per questo, ma è il passato. Ora tocca al futuro.

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