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Ue verso nuove pericolose dipendenze nella corsa alle materie prime del futuro

Davide Di Santo
Davide Di Santo

Professionista dal 2010, bassista dal 1993, padre di gemelli dal 2017. Su Tecnocrazia scrivo di digitale e tecnologia

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Mentre siamo alle prese con la crisi energetica e la dipendenza dalle forniture di gas russo dobbiamo fare conti con un nuovo scenario, quello legato alla necessità di reperire le materie prime del futuro. Sono quelle che ci serviranno nei prossimi anni e decenni per la transizione energetica verso fonti rinnovabili e per la produzione di dispositivi elettronici. Le risorse sono limitate e detenute da pochi e per questo rischiamo di cadere dalla padella russa alla brace cinese. A dipingere il quadro attuale e a delineare gli scenari futuri è uno studio del Cep, Centrum für Europäische Politik, istituto tedesco che ha anche un'emanazione in Italia - il Centro Politiche Europee di Roma - in un articolo dal titolo «La posizione europea sulle materie prime del futuro».

Per alimentare l'innovazione tecnologica abbiamo un estremo bisogno di quei materiali necessari per realizzare microchip, impianti fotovoltaici, batterie, motori elettrici e via dicendo. Parliamo di gallio, germanio, grafite, indio, cobalto, litio, scandio, titanio, vanadio, terre rare... L'Europa al momento non è nella posizione migliore in questo campo perché i giacimenti di materie prime strategiche si trovano fuori dai territori dell'Unione: «I mercati globali sono attualmente dominati da Paesi rivali e che spesso non condividono gli standard ambientali e sociali dell'Ue. L'abbandono delle risorse fossili» potrebbe rivelarsi alla fine come una «rischiosa sostituzione delle vecchie dipendenze con nuovi indesiderati legami», scrive l'autore dell'articolo André Wolf.

Nello studio vengono considerate le materie prime «critiche» individuate dall'Agenzia tedesca per le risorse minerarie e dal Piano d'azione Ue aggiornato nel 2020, tutte fondamentali per la realizzazione di parchi eolici e fotovoltaici, per il controllo automatizzato dei dispositivi e per la mobilità elettrica (batterie, celle a combustibile, motori elettrici). La transizione tecnologica nei prossimi anni e decenni farà schizzare la domanda in modo drastico: è prevista un'esplosione di richieste per il platino, il vanadio e il litio. Per quest'ultimo e per lo scandio è già stata pronosticata una grave carenza nei prossimi anni in base ai livelli di produzione attuali.

Le fonti di approvvigionamento - i giacimenti, attualmente attivi o sfruttabili nei prossimi anni - sono nelle mani di pochi. La Repubblica democratica del Congo detiene le risorse principali di cobalto, il Sudafrica è in prima linea per i metalli del gruppo del platino, la Repubblica popolare cinese primeggia nel vanadio e nelle terre rare. La bottega a cui non potremmo evitare di rivolgerci è proprio a Pechino. «Nel 2020, la Cina è stata la principale fornitrice mondiale di otto delle dodici materie prime» ritenute fondamentali nel futuro, «ma la sua quota di mercato ha superato il 50% nel caso di sei materie prime e addirittura il 75% nel caso del gallio e della grafite». Una primato paragonabile solo a quello del Congo nell'estrazione del cobalto ma «il dominio generale della Cina è probabilmente ancora maggiore, poiché in questa fase di produzione si estende anche, ad esempio, al cobalto e al litio» si legge nello studio.

Balza all'occhio che dovremo comprare le materie prime da pochi Paesi che non hanno i nostri stessi standard di sostenibilità ambientale, sicurezza del lavoro ed equità sociale, e rischiamo di instaurare nuovi rapporti di dipendenza nelle forniture. Cosa può fare l'Europa per limitare i danni? Nello studio viene sottolineato come non è pensabile estrarre grandi quantità di questi metalli dal sottosuolo europeo, per motivi ambientali ed economici. Tuttavia in Francia ci sono giacimenti di indio, utilizzato per produrre schermi piatti, diodi luminosi, laser e moduli solari, che garantiscono all'Ue una certa autosufficienza, mentre in Germania hanno scoperto recentemente grandi giacimenti di litio.

La via più percorribile è quella delle partnership strategiche con i Paesi produttori. Attualmente sono due quelli in essere, con il Canada e l'Ucraina, ma recentemente la Commissione europea ha fatto riferimento a nuovi possibili partenariati con Giappone, Namibia, Norvegia, Serbia e Stati Uniti. Come si nota, non ci sono i colossi globali dell'estrazione e della produzione dei materiali finiti. Altra carta da giocare è quella del riciclo, il cosiddetto «urban mining». Dai dispositivi elettronici che non usiamo più infatti possono essere estratti materiali da sfruttare in altre applicazioni. «Si stima che la quantità di litio contenuta nelle scorte di batterie europee sia di circa 13.000 tonnellate e il cobalto di 24.000 tonnellate», si legge nello studio del Cep, ma per avviare una economia circolare di questo tipo è necessario investire ingenti somme non solo per un sistema di raccolta e smistamento efficiente, ma anche per estrarre le singole materie prime dai composti chimici grezzi. Inoltre, va da sé, le quantità non sarebbero determinanti.

La certezza per il presente è che, a fronte di un sicuro innalzamento della domanda delle nuove materie prime nei prossimi anni, l'Europa deve muoversi il prima possibile rafforzando gli acquisti interni e l'uso circolare delle risorse, ma soprattutto promuovere «partenariati strategici con Paesi terzi nel breve termine». Sperando di non trovarci presto sotto il ricatto di una nuova dipendenza. 

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