
Garlasco, "c'è sangue dappertutto": dalla telefonata di Stasi alla condanna. Ecco le tappe dell'omicidio di Chiara Poggi

«Mi serve un'ambulanza in via Giovanni Pascoli a Garlasco… al 29, una via senza uscita, la trova subito, credo che abbiano ucciso una persona…non ne sono sicuro, forse è viva… Adesso sono andato dai carabinieri… c’è tanto sangue dappertutto e lei è sdraiata per terra». È l’incredibile telefonata al 118, con un tono di voce quasi distaccato, che Alberto Stasi fece il 13 agosto 2007 e che è entrata al processo che si è concluso, dopo due assoluzioni, con la condanna in via definitiva a 16 anni di carcere per l'omicidio di Chiara Poggi, il caso che oggi si riapre con l'iscrizione nel registro degli indagati, per concorso in omicidio, di Andrea Sempio, l'amico del fratello della vittima, all'epoca 19, il cui dna è stato trovato sulle unghie della Poggi. Chiara era quella persona riversa a terra senza vita, in una pozza di sangue, per la quale Stasi, quel pomeriggio, chiamò il 118, senza neppure indicarla come la fidanzata. La ragazza, 26 anni, è stata massacrata: l'assassino le ha sfondato il cranio con un misterioso «corpo contundente metallico» e l'ha aggredita con fendenti al volto, forse a colpi di pugnale o secondo i medici legali con forbici da sarto. Una perizia disposta in appello invece indica che può essere stato usato anche un martello da carpentiere. L'arma del delitto, però, non verrà mai ritrovata.
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Da quel 13 agosto 2007 ci volle quasi un decennio, caratterizzato da una guerra di perizie e da processi controversi, per arrivare alla soluzione del caso: nel 2016 fu la Cassazione a mettere una pietra sul delitto di Chiara e a sentenziare che lo studente di Economia della Bocconi, diventato poi commercialista, è colpevole del delitto “oltre ogni ragionevole dubbio”. Alberto, che si è sempre proclamato innocente, sta scontando la pena di 16 anni nel carcere milanese di Bollate e dal gennaio 2023, considerando che per i giudici di sorveglianza è un detenuto modello, gli sono stati concessi i permessi per lavorare all'esterno del penitenziario: svolge mansioni contabili e amministrative, con rigide prescrizioni sugli orari di uscita ed entrata. Nella sentenza di condanna in via definitiva la Corte scrisse che l’ex bocconiano uccise la fidanzata Chiara Poggi con «dolo d’impeto» e «senza alcuna programmazione preventiva», con un’azione connotata da «un rapido susseguirsi di colpi di martello al capo della vittima, sferrati all’ingresso dell’abitazione, con rabbia ed emotività».
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La giovane era sola in casa quel tragico 13 agosto 2007, perché i suoi genitori erano in vacanza. La sera precedente la ragazza aveva passato qualche ora con Alberto, che la mattina seguente ha raccontato di averla trovata morta senza sapere cosa fosse successo. Gli inquirenti, analizzata la scena del crimine, non hanno rilevato segni di effrazione nella villetta e hanno capito che la vittima conosceva il suo assassino: Chiara, infatti, aveva aperto spontaneamente la porta in pigiama, a qualcuno di cui si fidava e che l’aveva aggredita violentemente fino ad ucciderla. I sospetti si concentrarono immediatamente su Alberto Stasi, soprattutto per una circostanza alquanto insolita. Il giovane, prima di trovare il corpo della fidanzata, percorse varie stanze della casa, fino ad arrivare alla porta della cantina, dove il corpo martoriato di Chiara era riverso sul fondo delle scale. Eppure, nonostante il sangue sul pavimento, Alberto aveva le scarpe completamente pulite. Inoltre il racconto che lo studente aveva fornito ai magistrati era risultato incongruente su diversi punti. Da lì le indagini presero un filone che ha portato alla condanna di Stasi. E oggi, l'iscrizione di Sempio, riaddensa nuove ombre su tutto il caso.
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