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Kata, dopo cinque mesi nessuna traccia: che fine ha fatto la pista peruviana

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Christian Campigli
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Era caldo, seppur non ancora afoso. L'estate, dopo un maggio piovoso, faceva timidamente capolino. Firenze si preparava a vivere un fine settimana intenso, ricco di eventi sportivi: il motomondiale al circuito del Mugello e, soprattutto, le due semifinali di Calcio Storico. Era il 10 giugno quando una bambina innocente spariva, inghiottita dal degrado di un'area della città completamente abbandonata a se stessa, all'interno di un'occupazione illegale tollerata in nome del folle mito della sinistra italiana: l'integrazione.

 

A distanza di cinque mesi, di Kata non si parla quasi più. Le luci della ribalta si sono spente, le centinaia di giornalisti che trascorrevano quindici ore al giorno di fronte all'ex hotel Astor sono stati dirottati verso altri casi di cronaca nera. Ma la bambina peruviana di cinque anni non è ancora tornata dai propri genitori. Ma c'è di peggio. La procura, ad oggi, non ha uno straccio di pista da seguire. Il nulla fotonico. Nonostante decine di perquisizioni, di analisi, spesso anche meticolose, non è emerso un solo dettaglio biologico che possa far pensare alla morte della minorenne. Almeno, non all'interno di quel tugurio che centoquaranta famiglie erano costrette a chiamare casa.

 

E allora dov'è Kata? Le ipotesi restano sempre, immutabilmente, tre. Rapita e portata in Perù (ma, al momento, l'ottimismo su questo filone investigativo sembra essersi sopito); uccisa e sepolta chissà dove, magari in qualche bosco sulle colline di Firenze; presa da un cane sciolto (un pedofilo) o rapita da una rete criminale internazionale, gestita per lo più dai rom. E usata per il business della questua o della prostituzione minorile. Tra mille dubbi, un'unica certezza: nel capoluogo toscano c'è una famiglia che, letteralmente, da cinque mesi non riesce più a chiudere occhio. E che vorrebbe (finalmente) conoscere la verità.


 

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