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Reddito di cittadinanza, Corte dei conti: "Difficile recuperare i soldi delle truffe"

Giuseppe China
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Da buco a voragine per le casse dello Stato. E’ la triste e annunciata parabola del Reddito di cittadinanza. La misura che avrebbe dovuto «abolire la povertà» viene messa ancora una volta sotto la lente di ingrandimento dei magistrati della Corte dei Conti. Il quadro che emerge dall’ultima relazione sulla gestione dell’Istituto nazionale di previdenza sociale per l’esercizio finanziario del 2021 lascia quasi senza parole.

 

 

«La spesa complessiva, a carico dello Stato, per i trattamenti in parola nell’anno 2021 ammonta a 8,872 miliardi di euro di cui 8,440 per il Rdc e 432 milioni per la Pensione di cittadinanza; facendo registrare un incremento di 1,674 miliardi rispetto all’anno precedente». Somme di denaro che nei migliori dei casi hanno permesso a molte persone occupabili di accomodarsi sul divano o lavorare in nero per aumentare le proprie entrate.

 

 

Perché è innegabile che c’è anche l’altro lato della medaglia, quello decisamente più fastidioso per i cittadini rispettosi della legge. Le toghe contabili scrivono: «Dall’avvio della misura fino a settembre 2022 sono state revocate 213.593 prestazioni». E non è finita qui dato che siamo in presenza «di un trend in crescita, determinato dall’intensificarsi dei controlli effettuati dall’Istituto, anche in collaborazione con le forze dell’ordine, e facilitati dalle convenzioni siglate con gli altri soggetti coinvolti a vario titolo nell’erogazione della misura».

 

 

Nel documento della Corte dei Conti il relatore Antonio Buccarelli non si limita a segnalare gli ammanchi dovuti ai furbetti del Rdc, ma pure quanto sia impervio il percorso dello Stato per avere indietro i soldi elargiti in precedenza. «Rilevante nel 2021 la crescita delle domande revocate a seguito dei controlli sui requisiti di residenza e cittadinanza e quelle sulle false dichiarazioni o omissioni di comunicazioni obbligatorie, in particolare relative alla mancata indicazione in domanda dello svolgimento dell’attività lavorativa». Ma c’è di più: «(…) I recuperi delle prestazioni indebite vengono effettuati – si legge nella relazione dei magistrati contabili – laddove possibile, tramite compensazioni su prestazioni previdenziali, assistenziali o di sostegno al reddito di uno dei componenti del nucleo interessato dalla revoca/decadenza, sulle eventuali successive erogazioni».

 

 

Però cosa succede quando lo Stato non è in grado di “rivalersi” sui familiari dell’ex percettore? La Corte dei Conti mette nero su bianco che quel denaro rimane nelle tasche di coloro che l’hanno chiesto. Leggiamo: «Nei casi in cui la compensazione non fosse possibile si attiva la procedura in questione si presenta particolarmente complessa dal momento che l’escussione del debito avviene nei confronti del richiedente e, in regresso, nei confronti di tutti i componenti maggiorenni del nucleo». Inoltre non bisogna dimenticare che le toghe contabili, per la precisione la procura, stanno cercando di mettere ordine sulle truffe relative al Rdc, in particolare secondo una fonte qualificata: «È un’indagine in fase esplorativa ma dovremo capire se si riuscirà a contestare il presunto danno erariale non solo agli ex percettori, ma anche a istituzioni come Anpal e Inps».

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