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Kata, genitori di nuovo in Procura. Video al setaccio: cosa cercano gli investigatori

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Christian Campigli
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Millecinquecento telecamere. Che coprono l'intera città di Firenze. Immagini insignificanti per molti, che potrebbe portare ad una svolta in un caso tanto delicato quando complicato per i carabinieri. E per la procura. I genitori di Kata, la bimba peruviana di cinque anni scomparsa lo scorso 10 giugno, sono stati nuovamente interrogati. Hanno guardato, con scrupolosa attenzione, quelle registrazioni che, in precedenza, gli inquirenti aveva selezionato per loro. A caccia di un indizio, anche minimo. Magari quei congegni elettronici hanno inquadrato una persona con la quale, anni fa, c'è stata una discussione. Forse banale, ma, chissà, che ha scatenato una reazione inaspettata. Oppure un adulto che non faceva parte dei centotrenta che vivevano all'interno dell'ex hotel Astor,  ma che spesso passeggiava nei dintorni della struttura occupata abusivamente.

 

Per ora, nonostante gli interrogatori a tappeto, non è emerso nulla di rilevante. In questa storia vi sono tanti, troppi dettagli che non tornano. Che non hanno una logica, seppur criminale. Partiamo dalla convinzione, granitica, che sta muovendo le indagini sin dal primo giorno: il rapimento di Kata sarebbe una vendetta del racket delle camere occupate. O, al limite, la folle reazione ad una discussione avuto dal padre o con lo zio. Droga? Gang criminali? Impossibile escludere a priori le molteplici diramazioni. Ma laddove vi è un rapimento, c'è una richiesta di riscatto. In questa assurda vicenda invece manca. Completamente. E poi, è davvero possibile che nessuno degli occupanti abbia visto nulla? Credibile che nessuno crolli e racconti la verità? Perché, se è vero che si tratta di persone abituate a vivere in quella striscia sottile che delimita il confine tra legalità e illegalità, è altrettanto evidente che non stiamo parlando di consumati mafiosi che hanno giurato sul proprio sangue fedeltà e rispetto del silenzio. 
 

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