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Finita la sbornia da Pnrr, ora dobbiamo pagare. La truffa dell'Europa è servita

Gianluigi Paragone
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Quando il Covid metteva a soqquadro il mondo, obbligando governi senza bussola (e senza piani pandemici aggiornati) a chiusure e lockdown, la Commissione europea tirò fuori dal cilindro i tanti soldi del Pnrr per ripartire. Lo fece in ritardo e solo dopo che i governi si affannavano a mettere mano ai bilanci con ristori e accreditamenti al fine di riparare gli effetti delle chiusure in casa. Ci fu chi non si perse in burocrazia e chi - come il governo Conte - si perse nella solita burocrazia.

 

Soltanto dopo questi primi interventi, la Commissione della signora Ursula indicò la via della ripartenza con un piano ad hoc, il mitologico Pnrr: uno slancio verso le grandi sfide del futuro - dicevano - dalla digitalizzazione all’ecosostenibilità. Sorprese non poco il fatto che di soldi per il potenziamento della Sanità se ne vedessero ben poco, però il piatto era ricco e non bisognava perdere l’(ennesimo) ultimo treno «con inutili polemiche». Insomma, col Pnrr sarebbero arrivati tanti soldi. I famosi soldi dell’Europa. E noi dovevamo essere pronti per la sfida. Caso (?) volle che in Italia la gestione dei soldi fu affidata all’uomo dei miracoli, all’uomo del whatever it takes, all’uomo che tutto il mondo ci invidia: Mario Draghi. E così, giubilato Conte, la maggioranza si unì in un sol corpo per sostenere l’ex governatore della Bce, il quale nella sua squadra confermò Speranza, la Lamorgese e Di Maio in tre dicasteri chiave; mise il fidato amico Giorgetti al Mise e soprattutto aprì le porte del Mef al suo fidato uomo Daniele Franco. Infine per le transizioni digitali e ambientali individuò l’ex uomo forte di Vodafone, Colao, e l’ingegnere tecnologico ex Leonardo, Cingolani.

 

Insomma tutto era in ordine per partire con il programma Pnrr, per far atterrare i soldi, la montagna dei soldi, sull’Italia martoriata dal Covid. Peccato che nel dibattito non uscisse mai che questi soldi fossero il solito prestito travestito (e silenziato): marchio di fabbrica di Bruxelles, cioé fare i prestiti coi soldi nostri. Non a caso il finanziere dal cuore generoso George Soros ci sguazza e si complimenta con Draghi, «l’uomo più capace del continente».

Ebbene, qualche mese dopo, smaltita la rituale fanfara retorica dei tanti soldi ecco che Draghi - ormai ex uomo della Provvidenza - ci racconta altre storie. Per esempio che per non farci sfuggire i soldi della Ripresa e della Resilienza dobbiamo menare gli italiani, esattamente come accadeva quando c’erano le altre crisi e il conto arrivava sul tavolo della gente comune. Oggi a pagare il prezzo più caro saranno gli imprenditori balneari, i quali dopo una accurata campagna stampa contro, si vedranno sottratti di ciò che caratterizza la loro impresa: le spiagge. Spiagge che verranno messe all’asta per la gola di multinazionali, grandi gruppi con santi in paradiso (come avvenne con le privatizzazioni e le liberalizzazioni avviate da Draghi sul Britannia) e fondi d’investimento che si papperanno le nostre coste. Ovviamente quel che oggi accade in nome della Concorrenza (quanta ipocrisia) ai balneari, domani toccherà a tanti altri piccoli impenditori. I soliti taxisti per esempio.

Non solo. Sempre perché , il governo Draghi ha messo nero su bianco una bella batosta fiscale sulla casa con la riforma del catasto (la sentiremo a cosa fatte) e l’appesantimento dell’Iva; arriverà il ripristino di fatto della riforma Fornero sulle pensioni e soprattutto ci attende un’altra ondata di interventi all’insegna dell’austerità, come ci hanno annunciato i guardiani Gentiloni e Dombrovskis: <IL-0.1>«I fondi europei saranno condizionati al rispetto degli obiettivi sulle riforme». Con tanto di messaggino della governatrice Bce, Christine Lagarde: «In Europa è finita l’era del denaro gratis». Insomma dobbiamo rientrare dai debiti. Per il nostro bene, chiaramente.

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