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L'Italia recuperi la sua centralità nel Mediterraneo. La nuova geopolitica

Nicola De Felice*
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«Navigare necesse, vivere non necesse est» è l'esortazione che, secondo Plutarco, Gneo Pompeo, grande ammiraglio romano, diede ai suoi marinai durante la guerra civile contro Giulio Cesare: sul punto di salpare dalla Sicilia per Roma, dato che soffiava per mare un gran vento e i timonieri tumultuavano, imbarcatosi per primo e ordinando di levare l'ancora gridò: «Navigare è necessario, vivere non è necessario!». La frase fu ripresa dalla Lega anseatica della quale divenne il motto e anche Gabriele D'Annunzio la usò spesso nelle sue opere come esortazione a vivere da eroi. Frase valida ancora oggi poiché legata alla finalità della geopolitica italiana in quanto coordinamento delle azioni politiche nello spazio geografico che ci circonda. Utile per definire la strategia di uno Stato, cioè la logica che giustifica l’agire per difendere gli interessi che servono al popolo per vivere nel benessere e continuare nella sua evoluzione culturale, civile, sociale ed economica.

Per l’Italia lo spazio prevalente è il mare e le questioni che condizionano la sua strategia di sicurezza sono vincolate da tutto ciò che il mare offre, nel bene e nel male. Eppure, abbiamo una Marina sorprendentemente «cenerentola» tra le Forze Armate, sia in termini di personale sia di spesa. Per di più, gli Usa hanno da tempo cambiato la gerarchia delle minacce: la difesa del Mediterraneo e con esso dell’Italia non è più urgente, ora è la Cina il rivale primario e tutti gli altri sono secondari. La conseguenza è che non saranno più gli «Yankees» a impedire al caos di avanzare verso le nostre coste; lo conferma il ritorno agguerrito della Russia che, oltre alla flotta del Mar Nero, dispone nel Mediterraneo di due gruppi di battaglia di cui uno con base in Siria e l’altro in Libia. Senza dimenticare le mire egemoniche della Turchia con la sua strategia marittima, la «Patria blu». Per rilanciare una strategia di sicurezza credibile occorre comprendere che le forze marittime sono uno strumento della diplomazia da impiegare per il conseguimento di obiettivi di politica nazionale. Le navi si spostano in un’area di crisi senza violare le norme del diritto internazionale, contribuendo ad una politica di «moral suasion» attraverso un’opera di deterrenza e dissuasione, fino ad un appropriato e selettivo uso della forza.

Prendendo spunto dall’inadeguatezza della flotta russa nell’attuale guerra, la Marina Militare deve disporre di una flotta organizzata in 2 robusti gruppi da battaglia con capacità tridimensionale (in superficie, sopra e sotto per intenderci) e almeno 3 gruppi anfibi per un obiettivo di 100 navi (ora 52), 25 sommergibili (ora 8) con capacità di condizionare le operazioni a terra, di un’adeguata aviazione navale (non serve a nulla avere portaerei senza aerei), di disponibilità di droni combattenti, di efficaci forze da sbarco, di incursori, d’intelligence e cyber, una logistica proiettata a sud. Ma il tallone d’Achille è nell’imbarazzante carenza di personale voluta dal governo Monti con la legge n. 244 del 2012, nota come legge «Di Paola» che ha inciso negativamente sul funzionamento e sull’organizzazione di tutte le Forze Armate.

La Marina deve disporre di 40.000 marinai (ora 28.000) per adempiere alla propria missione. Dopo il raddoppio del canale di Suez, la presenza della Russia nel «Mare nostrum» e la corsa agli armamenti di Egitto, Algeria e Turchia, è fondamentale assolvere il ruolo di tutela delle linee di traffico marittimo, di legalità in alto mare, d’interdizione del commercio illegale, di embargo o blocco navale. Prigioniera di un’inefficace politica estera e di sicurezza, l’Italia è ancora in tempo per guardare con fiducia al futuro. Assuma il ruolo di protagonista dell’Ue e della Nato recuperando credibilità nel Mediterraneo. Se il dramma è che l’opinione pubblica non è consapevole di questa necessità, la colpa è nell’incapacità dell’autorità politica di imporre obiettivi adeguati e dell’autorità militare di definire missioni coerenti con le esigenze strategiche del suo popolo.<

*Ammiraglio di divisione

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