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Psicosi nucleare, partita l'insensata corsa allo iodio. Ma in farmacia è introvabile

Antonio Sbraga
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Dall'escalation dell'odio alla corsa alle pasticche di iodio. Con i bombardamenti intorno alle centrali nucleari di Chernobyl e Zaporizhzhia, torna a montare la paura di ripiombare al 26 aprile 1986 quando, dopo il disastro nel reattore dell'allora sito sovietico, una nube tossica radioattiva avvolse l'Europa, Italia compresa. Allora, per proteggersi dai danni delle radiazioni, in molti paesi partì la corsa all'acquisto di pillole a base di iodio. Ed ora rischia di diventare questa la nuova, montante richiesta alle farmacie dopo le file di questi ultimi due anni per mascherine e tamponi. «Proprio mezz' ora fa nella mia farmacia una donna ucraina mi ha chiesto queste pasticche di iodio - racconta Emilio Croce, presidente dell'Ordine dei farmacisti di Roma e provincia Però qui in Italia queste pasticche non le abbiamo più da molto tempo. Lo iodio in terapia non viene prescritto da anni. Esiste solo qualche integratore alimentare. Mi ricordo che nel 1986, dopo il disastro di Chernobyl, le compagne di scuola di mia figlia ci chiedevano il dentifricio Iodosan, perché all'epoca conteneva una minima parte di iodio. Che però poi è stata tolta anche da quel prodotto: continua a mantenerlo, ormai, solo nel nome. Ora bisognerà attrezzarsi in qualche modo, vedremo».

 

 

Ma è uno sforzo che non dovrebbe servire, almeno secondo Roberto Tobia, segretario nazionale di Federfarma e presidente del Pgeu, il raggruppamento dei farmacisti europei: «La distribuzione di pillole di iodio in Paesi come il Belgio e l'Olanda avviene gratuitamente, perché lì ci sono centrali nucleari e quindi un rischio di fughe radioattive. Ma in Italia la loro assunzione non avrebbe senso e, fortunatamente, la richiesta nelle nostre farmacie è stata minima. Spero che nessuno le compri online perché, ripeto, non hanno alcun effetto preventivo». Perché, spiega Tobia, «le pastiglie di ioduro di potassio servono ad impedire l'accumulo dello iodio radioattivo a livello della tiroide, saturandola con iodio non radioattivo, e quindi lo sviluppo del cancro. Ma questo funziona solo se c'è iodio radiattivo nell'aria, se c'è già una contaminazione». Anche l'epidemiologo dell'Università Statale di Milano, Carlo La Vecchia, invita a non farsi prendere dalla corsa all'acquisto. Anche perché queste pasticche «vanno prese in caso di elevata contaminazione che si può raggiungere nelle aree vicine all'esplosione, come la Polonia e la Bielorussia». Anche la confinante Germania: nell'agosto del 2019 il governo di Berlino ha ordinato 190 milioni di compresse di iodio anti-radiazioni da una azienda austriaca, Gerot Lannach. Ha speso 8,4 milioni di euro. Era in funzione di protezione nel caso di guasti alle centrali confinanti. Perché in quel caso si parla di centinaia «e non di migliaia di chilometri - chiarisce il professor La Vecchia - Inoltre vanno prese dopo l'evento nucleare per bloccare gli effetti sulla tiroide. Prenderle prima è inutile».

 

 

E può diventare anche dannoso, come avverte l'endocrinologa Rossella Elisei dell'Associazione Italiana della Tiroide (Ait). «La tiroide capta lo iodio e, nei Paesi in cui è carente, ne diventa avida. Per questo se c'è un incidente nucleare abbastanza vicino a noi, uscendo per strada la nostra tiroide assorbirebbe lo iodio radioattivo, non distinguendolo da quello normale, e ciò potrebbe creare un danno». Ma Franco Grimaldi, presidente dell'Associazione medici endocrinologi (Ame) rassicura: «A causa dei gravi incidenti nucleari del passato, ora siamo preparati: l'Organizzazione mondiale della sanità ha predisposto Linee guida di orientamento tecnico con l'obiettivo di sostenere la preparazione e l'organizzazione degli Stati membri su argomenti di sanità pubblica alle emergenze radioattive». Anche il capo dipartimento della Protezione civile, Fabrizio Curcio, ribadisce: «Per la radioattività l'Italia ha un sistema di monitoraggio rilevante: il piano radiologico nazionale è in fase di definizione. Il piano esiste, ma speriamo non debba mai essere attuato».

 

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