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Morte David Rossi, pm Marini smentito dalla polizia postale

Pietro De Leo
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Ma quali ricerche sul web con la parola “suicidio”! Erano newsletter ricevute. I lavori della commissione parlamentare di inchiesta sulla morte di David Rossi hanno fornito un’altra badilata alla credibilità dei pm che indagarono sulla vicenda. Per i più smemorati: David Rossi era il capo della comunicazione del Monte dei Paschi di Siena, precipitato dalla finestra del suo ufficio, a Rocca Salimbeni, la sera del 6 marzo 2013. Eravamo in piena bufera giudiziaria e mediatica per il crac dell’istituto. Furono aperte due inchieste archiviate come suicidio. Ma la persistenza di molti elementi opachi e la tenacia della famiglia di Rossi, convinta che il loro caro sia stato invece ucciso, hanno fatto riaprire giudiziariamente il caso (oggi è la procura di Genova a indagare) e portato qualche mese fa all’istituzione di una commissione in Parlamento. In cui sono stati auditi anche i Pm che indagarono nel 2013. Uno di essi, Nicola Marini, alcuni giorni fa aveva parlato di ricerche che Rossi aveva eseguito sul web utilizzando la parola “suicidio”.

Per ben 35 volte. E aveva aggiunto: “uno degli ultimi dati che stava leggendo Rossi, e messo nella posta eliminata, è del 6 marzo 2013, alle ore 16:39 e riguardava un dato molto importante, la circostanza che otto suicidi al mese avvengono per ragioni economiche”. Dunque, la chiave di lettura è chiara, David Rossi compiva ricerche orientato dalla sua intenzione di farla finita. Circostanza, però, che è stata demolita dalla Polizia Postale di Genova, intervenuta sulle indagini  nel 2019 su mandato della procura del capoluogo ligure. Non è che Rossi cercasse di sua sponte la parola “suicidio”, è la conclusione dei poliziotti sulla base di elementi tecnici, ma riceveva delle newsletter con dei testi che, a vario titolo, contenevano il termine. L’assistente capo coordinatore Augusto Vincenzo Ottaviano dunque ha spiegato: “abbiamo cercato la fonte di queste informazioni, riaprendo quella copia lavoro”. Ricavando che Rossi “era iscritto a numerose newsletter nelle quali riceveva costanti comunicazioni da testate giornalistiche, agenzie di stampa, relative a notizie. Le riceveva spesso in posta elettronica”. Poi viene il nocciolo della questione: “la parola suicidio o suicida compare molte volte nella sua casella e-mail, ma la parola viene contestualizzata in modo diverso dall’intenzione di togliersi la vita, tipo riguardo a notizie finanziarie di tenore negativo si può leggere di ‘suicidio bancario'”. E ancora: “non vedo traccia di ricerche della parola suicidio”. Ottaviano poi spiega che “questa attività, se viene fatta, viene registrata dal sistema. I software forensi mostrano con alta descrizione quel tipo di ricerche”. I commissari, peraltro, richiamandosi ad una relazione tecnica chiedono a Ottaviano e all’ispettore Di Tursi se David Rossi abbia ricevuto, sempre tramite newsletter un articolo da Dagospia sugli otto suicidi al mese a causa della crisi economica. E se abbia visualizzato l’immagine di un cappio sempre, dopo un download. Ebbene, entrambi hanno confermato. La Commissione incalza: “Allora non ci sono evidenze che Rossi cercasse la parola suicidio. E’ così?”. I due poliziotti rispondono: “è così”. Altro tema analizzato, la famosa mail “help”, inviata all’ad Fabrizio Viola, in cui Rossi annunciava l’intenzione di farla finita. Su quella mail, sempre in audizione, si era pronunciato anche l’ex presidente Mussari affermando di non riconoscere, nel registro linguistico usato (“stasera mi suicido sul serio, aiutatemi!!”) quello abituale di Rossi. Su questo tema c’era una discrasia tra la data di invio, il 4 marzo 2013 e quella di creazione del messaggio, il 7 marzo. Di Tursi ha spiegato.

“C'e' una spiegazione plausibile. La Polposta senese il 7 marzo 2013 chiese alla struttura informatica di Mps di estrarre la casella e-mail di Rossi" e "in questa operazione la casella viene modificata e percio' troviamo la data del 7" invece del 4. Il punto oscuri, semmai sono altri due. L’impossibilità di recuperare la copia forense di un pc portatile utilizzati da Rossi. E il fatto che non è stato possibile recuperare due email dal suo Blackberry. Gli investigatori hanno parlato di un tentativo di “gestire” quelle due comunicazioni elettroniche il 14 marzo, dunque ben otto giorni dopo la morte di Rossi. Altri nodi da sciogliere, quindi. A fronte di una certezza. Dopo la smemoratezza dell’altro pm Nastasi (sempre davanti alla Commissione disse di non esser stato nel vicolo dove precipitò il corpo di Rossi, ma una foto ha provato il contrario e lui ha dovuto ammettere) e la ricostruzione di Natalini sulle ricerche web smentita dai poliziotti, si arricchisce l’antologia degli inciampi da parte dei pm che indagarono a suo tempo.

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