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La drammatica denuncia di Paolo Bianchini: "La guerra in Ucraina colpo di grazia per la ristorazione"

Pietro De Leo
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«Già prima dello scoppio della crisi tra Russia e Ucraina lamentavamo l'abbandono del nostro comparto. Ora, con il rischio di ulteriori rincari delle bollette, la situazione per noi rischia di diventare ancora più drammatica». Il Tempo raggiunge al telefono Paolo Bianchini, presidente di M.I.O Italia, associazione che raccoglie imprese operanti nel campo dell'ospitalità, dunque da turismo a ristorazione. Bianchini stesso, da ristoratore, ci mette subito dinnanzi alla crudezza delle cifre: «I miei costi energetici, tra gas e luce, sono aumentati da 1.400 a 3.400 euro».

Dopo due anni di Covid, un'altra stangata.
«Se il governo non corre subito ai ripari, rischiamo il crollo del settore, e sarà un costo sociale molto pesante, purtroppo, perché con altri ristoranti che chiuderanno saranno altri imprenditori e lavoratori in mezzo a una strada».

 

 

Di che numeri parliamo?
«Per quanto riguarda i ristoranti, nel 2021 siamo passati da 350 mila a 320 mila, dunque 30mila hanno chiuso. Se le cose non dovessero cambiare, per il 2022 c'è la previsione di ulteriori 50mila ristoranti che abbasseranno la saracinesca. Occorre un intervento urgente da parte del governo, a tutela di tutta la filiera. Su di noi c'è una doppia morsa».

In che senso?
«Oltre al costo energetico diretto su di noi, c'è l'aumento del costo dei fornitori, che a loro volta devono far fronte ai loro oneri. Le porto un altro esempio: il mio fornitore dei salumi mi ha mandato una mail annunciando, dal primo marzo (oggi n.d.r) un aumento del prezzo di listino del 15%. È logico che sia così: hanno le celle frigorifere, gli affumicatori, strumentazioni che consumano. Se già adesso ci ritroviamo dei margini ridotti all'osso, con questa "catena" andremo a peggiorare. Molti di noi, oggi, specie nei centri più piccoli, scelgono di lavorare solo dal giovedì in poi, perché all'inizio della settimana tenere aperto il locale per fare solo una manciata di coperti diventa antieconomico».

 

 

Cosa chiedete al governo?
«Sicuramente la proroga delle moratorie, il credito di imposta sugli affitti, la proroga delle normative sui dehor la reintroduzione della cassa Covid. Misure che ci aiuterebbero a lottare. Ci aspettiamo più coraggio: se chiediamo uno scostamento di bilancio non è che poi, con gli eventuali ristori, ci andiamo in vacanza alle Maldive, ci paghiamo i nostri lavoratori, i fornitori che a loro volta pagano i loro. Si tratta di strumenti fondamentali ad andare avanti. E poi c'è un secondo punto, molto importante».

Provo ad anticiparla: le restrizioni anti-Covid?
«Esatto. Togliere tutte le limitazioni rimaste, dal primo di aprile. Tutti gli indicatori stanno diminuendo. L'occupazione delle terapie intensive, per fortuna, è in discesa. E non parlo certo da persona che sminuisce la portata della pandemia. Visto che a causa del Covid purtroppo ho perso un fratello».

Esiste ancora un contraccolpo psicologico a causa del Covid nei clienti? Sono restii nell'accedere ad un locale pubblico?
«No, oramai no. Tra vaccinati e guariti arriviamo a coprire una stragrande maggioranza della popolazione. Quindi, parlando con loro, il messaggio più comune è: "basta". Basta con queste pressioni e con norme oramai non più attuali rispetto ai dati epidemiologici. Più che la variante Omicron, a preoccupare gli italiani è un'altra variante».

Ossia?
«La "variante imprese". I rincari in quasi tutti i settori, il rischio, o purtroppo la realtà, di perdere il lavoro. Riuscire ad arrivare a fine mese. Ma non mi pare che gran parte della classe politica sia molto concentrata su questo». 

 

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