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Pandemia, ecco chi sono i re dei tamponi: i nomi delle società che guadagnano con i test

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Valeria Di Corrado
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I test per la diagnosi del Covid-19 sono ormai diventati uno dei business più redditizi al mondo. Le aziende che li producono e li distribuiscono hanno visto negli ultimi due anni schizzare il proprio fatturato. Ma chi sono i "signori dei tamponi"?

Cina e Sud Corea detengono un oligopolio nel settore, seguite dalle multinazionali statunitensi. I tamponi sono diventati una gallina dalle uova d'oro: usati per diagnosticare il coronavirus, per uscire dalla quarantena, per entrare nelle strutture socio-assistenziali e per i non vaccinati a cui serve il greenpass. Basti pensare che solo in Italia ne viene processato circa un milione al giorno, tra ospedali pubblici e cliniche private, centri analisi, farmacie, hub e drive-in della struttura commissariale. Ormai ce n'è per tutti i gusti e le fasce di prezzo: molecolari e antigenici rapidi, antigenici qualitativi o quantitativi, sierologici per la ricerca di anticorpi, professionali o fai da te, naso/orofaringei o salivari.

Tra Natale e Capodanno era salita la «febbre da tampone», una vera e propria corsa al test per avere il via libera ai festeggiamenti in casa o con gli amici. Nelle grandi città, come Roma, Milano e Torino, le farmacie hanno registrato il sold-out delle prenotazioni. C'è chi ha aspettato in fila ai drive-in per 3-4 ore. I test fai da te sono andati letteralmente a ruba e quei pochi rimasti nei negozi sono stati venduti con rincari del 100%. Maurizio Arcuri, prima, e Francesco Figliuolo, poi, hanno acquistato dal 12 marzo 2020 al 20 ottobre 2021 ben 177.170.213 kit diagnostici e tamponi (con annesse provette), prevalentemente molecolari, per una spesa complessiva di 597 milioni e 354 mila euro.

La commessa più grossa, pari a 89,3 milioni di euro, se l'è aggiudicata il 9 aprile scorso Arrow Diagnostic srl: un'azienda italiana, che si occupa della distribuzione di kit e reagenti per la diagnostica molecolare; «soggetta alla direzione e al coordinamento» della multinazionale coreana Seegene inc, con sede a Seoul. Quest' ultima il 3 febbraio 2020 ha prodotto il suo primo test di reazione a catena della polimerasi in tempo reale (Real Time PCR) per testare il nuovo coronavirus, noto come Allplex 2019-nCoV. Il titolo di Seegene, quotato in borsa è passato da 10.725 won sudcoreani il primo novembre 2019 a 156.100 won il primo agosto 2020. Al secondo posto della classifica dei fornitori di tamponi più pagati dalla struttura commissariale c'è - con 63,7 milioni di euro-Life Technologies Italia, un'azienda di Monza acquisita nel 2014 dalla multinazionale statunitense Thermo Fisher Scientific, che ha un fatturato annuo di circa 40 miliardi di dollari. Sul gradino più basso del podio, con 60 milioni di euro (di cui 43,6 milioni pagati in un'unica soluzione il 9 aprile scorso per una commessa da 2.295.680 tamponi), c'è Abbott srl, la filiale italiana del colosso farmaceutico statunitense Abbott. Presente in 160 Paesi, quotato a New York, capitalizza 215 miliardi di dollari ed è al 36esimo posto nella classifica mondiale delle società che valgono di più in Borsa (Pfizer è al 34esimo posto con 220 miliardi).

Al quarto posto della classifica dei fornitori più remunerati dallo Stato italiano c'è Copan Italia spa, acronimo di «coadiuvanti per analisi», che ha incassato in totale ben 14 commesse, per un totale di 58,2 milioni di euro (di cui 10,7 milioni solo per le provette). Fondata nel 1979 a Mantova, l'azienda brevetta nel 2003 dei tamponi floccati, per poi espandersi in Cina, Giappone e Australia. Nel 2020, con lo scoppio della pandemia, viene aperto un sito produttivo pure in California. DiaSorin spa, azienda con sede in provincia di Vercelli che iniziò negli anni '70 a sviluppare kit diagnostici, ha avuto commesse per 40,6 milioni di euro. Il titolo è quotato al a Borsa di Milano e puntualmente sale di pari passo con l'aumento dei contagi: il 30 dicembre, nel pieno del boom di positivi, ha chiuso con un +1,5%: la migliore performance tra i titoli a elevata capitalizzazione.

Altri 30 milioni li ha incassati Technogenetics srl, un'azienda lodigiana che da oltre 35 anni opera nel campo dell'immunodiagnostica e della genetica molecolare. A seguire, con 27,4 milioni, la padovana AB Analitica srl e, con 17,6 milioni, la fiorentina A.Menarini Diagnostic srl. Chiudono la «top ten» Greiner Bio-One Italia srl (filiale della multinazionale tedesca), con 15,6 milioni incassati il 4 novembre 2020, e la sud coreana Rapigen, con 14,8 milioni. La filiale italiana della multinazionale Usa Perkin Elmer e la svizzera Abbott Rapid Diagnostic si sono aggiudicate infine commesse per oltre 13 milioni di euro.

Sul fronte delle farmacie, sono 16mila quelle che in Italia, su una platea di 19mila, eseguono test antigenici rapidi per il Covid-19 e, in caso di risultato negativo, rilasciano il greenpass valido per 48 ore. Ogni farmacia è libera di scegliere l'azienda dalla quale acquistare i tamponi, con l'obbligo però di attingere dalla lista approvata dal Comitato per la sicurezza sanitaria dell'Unione europea (Health Security Committee). La lista viene aggiornata ogni 2-3 mesi, anche per seguire le evoluzioni delle varianti; l'ultima è stata stilata il 21 dicembre 2021 e raggruppa 186 codici identificativi (a ogni codice possono corrispondere più tipi di confezioni), per un totale di circa 150 aziende sparse in tutto il mondo.

Ma come si può garantire l'omogeneità del risultato tra test fabbricati in Paesi diversi? «Le farmacie non sono un ente certificatore, per questo si rifanno all'elenco approvato dall'Health Security Committee - spiega il segretario nazionale di Federfarma, Roberto Tobia - È una sorta di libro mastro che viene stilato dai tecnici del gruppo di lavoro degli Stati membri sulla base di determinati standard qualitativi, come gli studi sulle performance cliniche, che poi confluiscono nel riconoscimento del marchio Ce. Il 90% dei produttori dei test antigenici rapidi fa parte del mercato orientale: Cina in testa, seguita da Corea e Giappone». Tre di queste aziende hanno sede a Wuhan, la città cinese epicentro della diffusione dell'epidemia da Covid-19.

Sui tamponi antigenici rapidi fai-da-te la Cina detiene quasi un monopolio. Che siano salivari o nasali, poco cambia. Facendo una cernita delle marche in commercio in Italia, abbiamo scoperto che il produttore è sempre lo stesso: Hangzhou All Test Biotech Co. Ltd, che ha il suo stabilimento proprio a Hangzhou, capoluogo della provincia cinese di Zhejiang. Qui vengono prodotti: JusChek, All Test, Flowflex, Clugene, Screen Check, Beright e Vivadiag. «Non abbiamo perplessità sull'attendibilità di questi tamponi - specifica Roberto Tobia - Nutriamo invece riserve su due problematiche. In primis la tracciabilità, che così viene affidata esclusivamente al senso civico del singolo. Il rischio è che gli incoscienti, pur essendo risultati positivi all'autotest, continuino a circolare liberamente non avendo il controllo della Asl. La seconda perplessità concerne la corretta esecuzione: il cittadino comune spesso non inserisce il tampone nelle fosse nasali, prelevando così un campione che non è attendibile per la diagnosi».

Se il prezzo dell'antigenico rapido eseguito in farmacia è stato fissato dal Governo in 15 euro per gli under 12 e 8 euro per la fascia dai 12 ai 18 anni, i fai-da-te hanno prezzi variegati (di solito i salivari costano più dei nasali). Durante le festività natalizie, con la corsa al tampone, le scorte dei self-testing si sono esaurite e i costi sono schizzati alle stelle, con rincari del 100%. Anche oggi un salivare della All Test, che in farmacia si paga circa 10 euro, sul web è in vendita a 4,90 euro; e se si compra uno stock da dieci, il prezzo scende a 3,90 euro a confezione. «La quantità influisce sulla formazione del prezzo - spiega il segretario nazionale di Federfarma - Gli ipermercati, per esempio, che comprano grandi stock, inevitabilmente praticano prezzi più bassi di una farmacia che compra meno pezzi da un distributore intermedio. Sugli antigenici fatti in farmacia a un prezzo concordato e calmierato, i margini di guadagno sono irrisori, considerato che, oltre al tampone in sé, gli operatori socio-sanitari devono indossare mascherina, camice e guanti, e cambiarli ogni volta che un cliente risulta positivo».

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