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Meno celebrazioni e più manette per contrastare l'emergenza nazionale del femminicidio

Franco Bechis
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Fra un green pass e l'altro oggi troverete su gran parte dei giornali e anche nei servizi tv una triste pioggia di numeri sui femminicidi, e cronache di manifestazioni, convegni, sfilate con scarpette rosse o su panchine dello stesso colore che sono il simbolo di quel sangue versato. Il 25 novembre infatti si celebra la giornata mondiale contro la violenza sulle donne e me ne sarei per natura tenuto lontano perché non amo questo modo un po' ipocrita di affrontare temi anche drammatici condendoli con fiumi di retorica. Ma non possiamo nasconderci che proprio in questi mesi quotidianamente nelle pagine di cronaca nera abbiamo dato una dietro l'altra notizie terribili su donne e purtroppo anche bambini uccisi da un compagno, un fidanzato, un marito che non accettava la fine di una relazione sentimentale o che imponeva una sua legge tribale.

 

 

Nell'ultimo mese un femminicidio dietro l'altro, addirittura in quattro giorni quattro femminicidi nella sola provincia di Reggio Emilia. In alcuni di questi episodi - le statistiche dicono nel 15% dei casi - le donne massacrate avevano denunciato da tempo le minacce o le violenze subite. Lo aveva fatto Juana Cecilia Hazana Loayza, uccisa venerdì scorso dall'ex Mirko Genco pazzo di rabbia per avere visto su Instagram una foto di lei sorridente insieme ad amici. Mirko era già stato denunciato da lei per precedenti violenze, è stato pure arrestato a settembre, ma ha patteggiato subito la pena e dopo un breve periodo di arresti domiciliari è stato rimesso in libertà con un provvedimento di divieto di avvicinamento alla ex e l'impegno a frequentare dei corsi di recupero. Ha fatto scalpore la dichiarazione del presidente del tribunale di Reggio Emilia, che è pure una donna, che ha difeso il provvedimento spiegando che i giudici hanno applicato alla lettere la legge e non possono essere dotati di preveggenza. Saranno sembrate dichiarazioni inopportune, ma ha ragione quel magistrato. Il tema è la legge, non la sua applicazione.

 

 

Da anni sui femminicidi scorre grande retorica, e questa ha portato anche a cambiare numerose leggi. C'è - e prima non c'era - quella che punisce gli stalker. Un paio di anni fa si è aggiunta anche quella ribattezzata «Codice rosso», che ha inasprito molte delle pene previste. Ma tutto questo non è servito a nulla: sono aumentati ancora di più gli episodi di violenza contro le donne e anche quelli di femminicidio. Bisogna dirlo chiaro nella giornata delle celebrazioni: non servono a nulla le scarpette, l'unica soluzione sono le manette. Qualcosa nelle nuove norme c'è, come la previsione di utilizzo del braccialetto elettronico per rendere più concreta la misura del divieto di avvicinamento alla donna. Solo che il braccialetto manca, e i tribunali non sono in grado di imporlo non avendolo a disposizione. Ma soprattutto, anche ce l'avessero, non sono in grado di controllare in tempo reale l'eventuale violazione, e in questi casi invece il fattore tempo è davvero tutto. Ho letto in vicende che per fortuna non sono finite in modo tragico, storie di donne che hanno pure chiamato le forze dell'ordine davanti all'ex che era sotto casa e suonava il campanello a ripetizione urlando e hanno dovuto attendere 40-45 minuti l'arrivo. A loro è andata bene, ma è evidente che questa non può essere la soluzione.

Il solo antidoto è quello della custodia cautelare in carcere per i denunciati con una carcerazione preventiva che consenta di celebrare processi immediati e l'applicazione della pena carceraria commisurata alle minacce o alle violenze escludendo questi tipi di reati dalle garanzie previste anche dalla procedura penale ordinaria. Se non stanno in carcere, non si può evitare il delitto. E se si sa che con la semplice minaccia o con qualsiasi violenza è lì che si finisce il deterrente è più che concreto, ed è il solo modo per sperare di evitare la tragedia. Poi le autorità giudiziarie possono valutare con i tempi giusti la protezione della donna minacciata, ricorrendo anche a quel che viene utilizzato per pentiti o testimoni di giustizia della criminalità organizzata (dal trasferimento in altro luogo o in residenze protette, ad eventuali scorte, fino al cambio di identità). Non scarpette, ma manette. Certo, per la politica è un tema spinoso e difficile, oscillando come accade sempre fra giustizialismo per alcuni casi e super garantismo per altri. Ma se quella dei femminicidi è una emergenza - e indubbiamente lo è - non può che richiedere per fermarla leggi speciali assai poco garantiste.

 

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