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In pensione a 63 anni. Pressing su Draghi per alzare di un solo anno l'età, cosa ci aspetta dopo quota 100

Filippo Caleri
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La cosa più difficile nella trattativa sulle pensioni che in questi giorni balla sui tavoli di Palazzo Chigi è far accettare a Mario Draghi la necessità di evitare lo scalone, e cioè il passaggio brusco in una notte, da Quota 100 che prevede l’uscita a 62 anni a 67. Insomma al ritorno alla legge Fornero dal primo gennaio del 2022. Fosse per il premier, la promessa fatta a Bruxelles di tornare a requisiti più stringenti nel campo previdenziale, sarebbe onorata senza se e senza ma. E subito.

 

Ma il pressing dei partiti, in particolare della Lega, questa volta avrebbe sortito un primo effetto. E cioè l’accettazione di una risalita graduale dell’età anagrafica. Che è elemento fondamentale perché è quella che definisce la platea dei beneficiari e per questo anche il costo finale delle modifiche normative. Il tira e molla avrebbe fatto a digerire a Draghi l’asticella degli anni necessari dagli attuali 62, previsti con Quota 100, a 64. Un passo avanti anche se la battaglia più dura sarà attorno agli anni di contributi versati. Ed è lì che anche solo un anno in più o meno può significare il cambiamento di vita per molti. Sul delicato contrappeso tra i due elementi (età e versamenti) si gioca dunque la partita che potrebbe concludersi tra oggi e domani, visto che giovedì, secondo la tabella di marcia (già slittata di 48 ore) il testo della Manovra dovrebbe approdare al consiglio dei ministri. Ci sono poche ore dunque per la discussione e la sintesi. Che in genere si conclude con la decisione motivata ma unilaterale del premier Draghi. 

 

La Lega sarebbe così al lavoro per tentare il colpaccio. E cioè spuntare un ulteriore riduzione degli anni di età: da 64 a 63. Un passaggio importante sul quale si sarebbe segnalato un «ni» da parte del governo e sulla quale si potrebbe innestare l’ultimo tassello che salverebbe capra e cavoli, ammorbidendo le tensioni. La migliore delle opzioni in casa leghista sarebbe quella di consentire l’uscita con 63 anni e 39 o 40 di contribuzione. Insomma una quota 102 o 103 che consenta di creare uno scalone meno ripido con la fine di Quota 100. Sarebbe una vittoria per il Carroccio che dovrà portare a casa la migliore soluzione dopo la fine della sua misura bandiera. Che per questo potrebbe anche accontentarsi di tenere la barra a 63 anni e 41 anni di contributi. Una scelta questa che aprirebbe il percorso verso la soluzione che farebbe felice anche la Cgil di Maurizio Landini e cioè 41 anni di contributi per tutti a prescindere dalla data di nascita. Ipotesi per ora nel cassetto visto il costo non sostenibile. 

 

Per ora il ministero del Tesoro non si è espresso ufficialmente. La trattativa centrale su cui si sta lavorando ruota intorno alla gradualità e alle modalità con cui passare a quota 102 e 104. Qui le ipotesi sono numerose con un progressivo passaggio da quota 102 l’anno prossimo a quota 103 nel 2023 e 104 nel 2024 per poi tornare ai parametri della legge Fornero negli anni successivi. 

Oggi le prime indicazioni arriveranno da un incontro con il premier Draghi a Palazzo Chigi dei sindacati. 

Intanto sul tema pensioni la polemica è anche sindacale. «L’affermazione del segretario del Pd Letta, secondo cui Quota 100 avrebbe discriminato le donne, appare falsa e fuorviante. La difficoltà per le donne di andare in pensione non può evidentemente essere imputata ad una misura come Quota 100 che ha introdotto un meccanismo di scivolo agevolando l’uscita anticipata dal mondo del lavoro» ha dichiarato Paolo Capone, Segretario generale dell’Ugl.

Al centro dell’incontro a Palazzo Chigi non ci saranno solo le pensioni ma anche la legge di Bilancio. Si lavora sull’estensione del Superbonus. Lo stop alle agevolazioni del 110% sui villini, contrastato sia dal M5S che dal Pd, potrebbe sciogliersi, è questa una delle ipotesi sul tavolo, con una proroga di sei mesi con un limite di reddito in base all’Isee. 
 

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