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Collaborazione costante con Tunisi: la soluzione per i migranti e per frenare la rotta mediterranea

Nicola De Felice - Ammiraglio di divisione (ris)
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Continuano imperterriti gli sbarchi dei clandestini a Lampedusa. Dall’inizio dell’anno sono sbarcati in Italia circa 35.700 illegali, otto volte di più che nello stesso periodo del 2019 con Salvini all’Interno. I tunisini sono circa 10.000, i bengalesi 5.000, gli egiziani 3.000 e poi gli altri per la gran parte emigranti economici paganti il pizzo ai trafficanti degli esseri umani. Il ministro Lamorgese continua a essere carente nella strategia necessaria per mitigare il fenomeno. È pur vero che il problema è tale da non poter essere confinato agli Interni, ma necessita un approccio sistemico con tutti gli altri ministeri, in un quadro di competenze politiche insite nella regia assegnata al Presidente del Consiglio dei Ministri. È sotto gli occhi di tutti che le conseguenze dell’attuale politica dei porti aperti comporta l’aggravarsi dei problemi economici, sociali e sanitari.

 

 

In Sicilia, la vigorosa campagna di vaccinazione alla quale il Presidente Musumeci si è sforzato di dare ogni contributo e la correlata diminuzione dei contagi, insieme con il venir meno delle restrizioni, avevano riacceso le speranze di una forte ripresa del turismo, facendo leva sulle indubbie bellezze paesaggistiche e sul patrimonio storico-archeologico. Tutto ciò è seriamente minacciato dal contestuale incremento esponenziale dell’immigrazione clandestina. Non ci sono speranze di un risultato positivo se le frontiere continuano a essere un colabrodo e le navi delle ONG continuano, in aggiunta ai barchini tunisini, a operare con la scappatoia umanitaria un servizio taxi dalle coste africane. Né le navi quarantena risolvono i problemi originati dalla pandemia, anzi finiscono per acuirli. D'altro canto, gli hotspot stipati all’inverosimile, ben oltre il numero consentito, non garantiscono le essenziali condizioni igieniche, anzi potrebbero favorire l’insorgere di nuove varianti. Tutto ciò è indegno per una Nazione che si vanta di essere sovrana sul suo territorio e sul suo mare. La Sicilia non può continuare ad essere la discarica di qualsiasi immigrante clandestino che, oggetto di un ignobile traffico di esseri umani, intenda trasferirsi in Europa. Quello che, facendo leva sul tradizionale spirito di accoglienza dei suoi abitanti ha dovuto subire con gravi conseguenze economiche e della qualità della vita, oggi nelle presenti condizioni non può più essere permesso. Le leggi internazionali del soccorso in mare non possono essere invocate per il perpetuarsi di questo abuso.

 

 

 

Il Governo nazionale non può non farsi carico di questo dramma, deve per contro intensificare i rapporti di cooperazione con la Tunisia e la Libia non solo diplomatici, ma anche militari ed economici, sulla base di una strategia che deve concepire il proprio confine a sud di quelle terre. Con il Presidente Saied, unico personaggio affidabile nell’attuale caos politico tunisino, deve essere creata una cooperazione a tutto campo che permetta a quel Paese di uscire dalla grave crisi politica ed economica nella quale si trova, assicurando un impegno costante e strutturato economico (ma non assistenzialistico) e nella sicurezza, a partire dal pattugliamento congiunto - in mare territoriale e in terra - delle nostre Forze dell’ordine e la Garde Nationale tunisina, in modo da stroncare sul nascere ogni tentativo di partenza. Devono essere creati e operativi Centri di comando e controllo della frontiera tunisina, con sistemi di sorveglianza radar sia a nord che a sud e con la presenza di esperti italiani. I falsi naufraghi paganti che i trafficanti di esseri umani inviano sottobordo alle navi Ong devono essere immediatamente trasferiti in Germania e in Norvegia, da Marsiglia o con un ponte aereo a cui la Sicilia può offrire le basi, in rispetto del Regolamento Ue di Dublino, che prevede che sia lo Stato di Bandiera della nave ad assumersi la responsabilità della protezione internazionale dei migranti illegali. Radicalmente diverso deve essere l’impegno dell’ONU in Africa con le proprie strutture dell’UNHCR affinché siano istituiti in situ Centri di rimpatrio. La sovranità e la difesa del territorio, ivi comprese le acque italiane, devono essere tutelate così come deve essere assicurata la sicurezza sociale, sanitaria ed economica dei singoli cittadini, soprattutto dei nostri pescatori che legalmente pescano nelle acque internazionali.

 

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