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"L'aeroporto era un tritacarne", donne massacrate dai talebani: così si sono salvate dall'inferno

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Una ’P’ sul palmo della mano, la lettera della salvezza. Se la sono disegnata le attiviste di Pangea, assieme ai loro familiari, in tutto 270 persone, per farsi riconoscere dai carabinieri del Tuscania che le hanno accompagnate al gate dell’aeroporto di Kabul da dove sono partite per Roma, lasciandosi indietro la paura dei talebani che le avevano da giorni nel mirino per il loro impegno da molti anni nella costruzione e nella difesa dei diritti delle donne afghane e le hanno anche picchiate, lasciando dei lividi sui loro corpi.

 

"Vedere le foto con i loro lividi è stato straziante. I bambini hanno assistito a scene di violenza inaudita e sono molto spaventati", comunica sui social la onlus milanese che ha diffuso le immagini dell'arrivo all'alba delle attiviste e delle loro famiglie a Kabul.

Il presidente dell’organizzazione milanese, Luca Lo Presti, racconta all’AGI l’operazione, con scene epiche come quella del giovane console italiano Tommaso Claudi «in piedi sui container» per avvistare uomini e donne da imbarcare. «L’idea di far disegnare una ’P’ sul palmo è venuta a me perché l’aeroporto è diventato un tritacarne, bisognava far in modo che i ’nostri' venissero riconosciuti dai carabinieri guidati dal capitano Alberto Del Basso, che è andato ben oltre il suo dovere, mostrando un grandissimo cuore. Assieme ai carabinieri c’era un ragazzo afghano del nostro team che li aiutava a identificare le persone».

 

Si è deciso di portare in Italia anche i cari delle attiviste perchè «nei giorni scorsi, dopo che abbiamo messo in luoghi protetti le ragazze, i talebani se la sono presa coi loro parenti, portando via fratelli e bambini, oltre a bruciare le case».

 

Il contatto con le attiviste è stato continuo, anche nei momenti più complicati: «Un gruppo di 25 donne coi bambini è rimasto chiuso fuori dal gate dalle 3 del mattino fino alle 6 del giorno dopo. Senza cibo né acqua, senza potersi mai sedere, pigiate nella folla, preoccupate per le voci secondo le quali il gate non avrebbe più riaperto. Ci sono stati attimi di grande panico». A quel punto, Luca, la moglie Maria e gli altri di Pangea hanno scelto di sdrammatizzare: «Gli abbiamo promesso che le portiamo al mare perché qui è ancora estate. Compriamo un bikini a tutte e ci andiamo davvero. Faremo un grande tuffo». Il sogno di Lo Presti deve aspettare, prima bisogna salvare ancora altri collaboratori di Pangea, meno esposti delle attiviste sottratte alla vendetta dei talebani. 

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