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"Regione e governo ignorano il mio vaccino"

Francesco Storace
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Hanno tolto il tricolore all’unico, vero, vaccino italiano. Senza un euro. Non sta nelle grazie di chi comanda. Ma alla Takis, società biotech che combatte il coronavirus, vanno avanti lo stesso. Luigi Aurisicchio, il numero uno aziendale, non molla sul vaccino anti Covid, anche se resta rabbia. Alla domanda sul perché le istituzioni non abbiano finanziato la loro ricerca, la risposta è durissima: «Non lo sappiamo. Abbiamo provato ripetutamente a contattarle senza successo».

Takis fattura circa 2 milioni di euro con ritmi di crescita annui a due cifre, collabora con grandi gruppi e di recente è risultata prima nella selezione realizzata dall’agenzia Enea di 21 progetti innovativi in partnership. Nel lavoro di sperimentazione sul vaccino anti Covid-19 impiega tutta l’esperienza accumulata nella immunoterapia anticancro. In Takis hanno cominciato la fase preclinica per identificare un vaccino contro il coronavirus. Sono i primi in Italia e hanno avviato un’iniziativa di crowdfunding che, in meno di una settimana, ha consentito la raccolta di 24-25 mila euro. Poi, ancora altri (pochi) soldi. Una goccia però rispetto alle esigenze finanziarie corrispondenti all’obiettivo di portare la sperimentazione all’uomo, stimabili in almeno 2 milioni.

 

Aurisicchio schiva la polemica, non la cerca, però dalle sue parole traspare l’amarezza tipica di chi avverte un’ostilità immotivata in Patria. Takis era in partnership con lo Spallanzani. Ad un certo punto pare che si sia interrotta la collaborazione. Lui lo nega. «La collaborazione non si è mai interrotta. Non avevamo ancora ricevuto un report ufficiale dei dati da loro generati». E allora chiediamo a che punto è il lavoro di ricerca su vaccino da parte di Takis. I progressi si possono cominciare a raccontare: «Stiamo completando con successo la fase preclinica/regolatoria. A fine novembre-inizio dicembre cominceremo lo studio clinico a Napoli, Roma e Monza». Lo Stato punta su Reithera, l’azienda di proprietà di una società svizzera che collabora con la multinazionale Glaxo.

Luigi Aurisicchio si trasforma in un autentico diplomatico quando gli chiediamo delle differenze di produzione. «Il nostro vaccino non è un virus modificato ma un frammento di Dna che viene somministrato dopo una elettrostimolazione. Può essere somministrato tante volte a differenza di quelli basati su vettori virali». Ma anche questo costa, come fate ad andare avanti se non vi aiuta nessuno? (Eppure, la fase iniziale della ricerca sul vaccino, per ora riescono a finanziarla). «Dopo un primo crowdfunding di circa 50mila euro abbiamo avviato la eccezionale collaborazione con la Rottapharm biotech che copre le spese e dà contributo col suo Team».
Voci raccolte nei dintorni di Palazzo Chigi indicano nel commissario Domenico Arcuri l’uomo che deve individuare le aziende «strategiche» in cui far entrare lo Stato con proprie partecipazioni. Anche Takis potrebbe essere «reclutata». E invece no. «Potremmo. Ma per ora nessuno ci ha contattato».
Mica è finita qui. Dottor Aurisicchio, le Istituzioni ed in particolare Regione e Ministero della Ricerca vi hanno supportato? Secco, quasi infastidito, il suo «no». E non c’è un perché, una motivazione, sul mancato sostegno economico? «Nessuna motivazione. Ci è stato riferito che le tecnologie con vettori virali siccome già usate per Ebola erano più "validate"».

Forse bastava conoscere l’assessore alla Sanità del Lazio, Alessio D’Amato, pare che sia stato lui a convincere Zingaretti sul vaccino italiano che italiano non è affatto e non si è però accorto del lavoro che a due passi da Reithera svolgeva proprio il team di Aurisicchio. «No, non lo conosco».
Chissà, forse sono troppo italiani, senza addentellati elvetici… «Diciamo che stiamo andando avanti con le nostre forze fino alla fase clinica 2 ma poi dovremo necessariamente avere un contributo dell’Italia o dell’Europa. Altrimenti dovremo guardare all'estero».

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