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Scuola, genitori in quarantena con i figli. Così preparano un altro lockdown

Alessandro Giuli
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L'ultimo grado della confusione di governo in vista della riapertura delle scuole, ma temiamo non quello definitivo, l’ha illustrato ieri la ministra per le Pari Opportunità e la Famiglia Elena Bonetti: se i bimbi finiscono in quarantena, anche genitori devono restare a casa. Avete capito bene: secondo l’illustre esponente del governo Conte bis, se si fermano le scuole dovranno fermarsi anche i genitori, come in una sorta di pietrificazione famigliare che di fatto corrisponderebbe al lockdown della Fase 1. Un ritorno obbligato all’angoscioso marzo di quest’anno.

 

Non è ancora chiaro se la Bonetti voglia rendere obbligatorio il provvedimento ma è verosimile che sarà così, trattandosi di quarantene. Foss’anche in omaggio alle migliori intenzioni civiche e sociali, come la diretta interessata cerca di farci intendere: «Il genitore deve essere nelle condizioni di poter stare a casa; o tramite il congedo straordinario o continuando a lavorare ma rimanendo a casa per evitare, ad esempio, che ci si affidi ai nonni». Insomma congedi straordinari e smart working come prosecuzione del confinamento con altri mezzi, «provvedimenti straordinari – ha sottolineato Bonetti – che già dovrebbero essere messi in campo nel Dl di agosto; stiamo ragionando su questo perché devono essere pronti prima possibile». 

 

La verità è che Bonetti e i suoi colleghi stanno brancolando nel buio e rischiano davvero di consegnare l’Italia al caos. Immaginatevi un nucleo famigliare con figli in quarantena e genitori operai, commercianti o anche impiegati nel terziario. L’obbligo di isolarsi, in assenza di un caso conclamato di coronavirus, rappresenterebbe un colpo micidiale per tutti dal punto di economico, professionale e psicologico. Badate bene: non stiamo parlando di una famiglia ideale, sospesa nell’empireo delle idee geniali più astratte; qui in questione è la qualità esistenziale della maggioranza dei cittadini. Il governo preferisce immaginare di recluderci ancora, invece di procedere a un massiccio intervento di monitoraggio attraverso tamponi e test sierologici che escluderebbero quasi subito la presenza virale e renderebbero possibile la prosecuzione normale (si fa per dire) della vita privata di ciascuno. Non siamo nemmeno al cospetto dell’estensione smisurata del principio di precauzione; siamo davanti alla replica cieca e immotivata di una procedura d’emergenza che ha avuto un senso nel momento più acuto e lancinante della pandemia, ma che oggi dovrebbe necessariamente combinarsi profilassi fondata sul tracciamento e non sulle restrizioni durissime già sperimentate.

 

La situazione è ulteriormente aggravata dal cronico difetto di comunicazione tra i soggetti chiamati a decidere sull’impianto regolatorio generale delle riaperture scolastiche: Roma, le Regioni e i presìdi sanitari locali. Palazzo Chigi sta cercando affannosamente di richiamare all’ordine la ministra competente (?) Lucia Azzolina, la quale ha in sostanza demandato alle Asl il compito di valutare caso per caso eventuali quarantene. Nel frattempo mancano aule e banchi per circa 150 mila studenti e i presidi stanno perfino valutando l’opportunità di affittare appartamenti per svolgere la didattica. Il caos, appunto, in mancanza di buon senso e di linee guida uniformi. E con le famiglie che, fra homeschooling e altre iniziative private, si attrezzano come possono per concepire piani B alternativi a questa surrealtà imposta per decreto dall’esecutivo. Da parte della maggioranza giallorossa, sarebbe stato più onesto riconoscere l’impossibilità di gestire il rientro dalle vacanze e le riaperture scolastiche, piuttosto che obbligare surrettiziamente i cittadini a ricorrere una volta ancora all’italicissima arte di arrangiarsi.
 

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