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Di Maio e Salvini si illudono sul prossimo Europarlamento

Matteo Salvini e Nigel Farage a Bruxelles

Carlantonio Solimene
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"I numeri dicono che dopo le prossime Europee la maggioranza formata da Ppe e Pse non esisterà più, finirà l'epoca dell'austerity e inizierà un nuovo settennato di bilancio espansivo". E' una delle risposte date da Luigi Di Maio in un'intervista al Corriere della Sera e merita almeno qualche considerazione. A partire da quelle giuridiche: da quand'è che una legislatura europea dura sette anni? E' per caso il calendario del cambiamento? Ironia a parte, il punto naturalmente è un altro. E sta nell'attesa messianica - condivisa da Salvini - nei confronti delle prossime elezioni europee, che per le forze attualmente al governo in Italia dovrebbero rappresentare un momento di svolta. Chiariamoci: lo saranno di sicuro. Ed è probabile che le forze cosiddette "sovraniste" avanzino a tal punto da rendere impossibile il formarsi di una maggioranza a Bruxelles senza il loro coinvolgimento. Ma siamo sicuri che questo sarà un bene per l'Italia? Sarà davvero così facile trasformare una somma di egoismi nazionali in una comune politica di bilancio espansiva? Qualche dubbio è legittimo. E muove da un caso recente, quello del dibattito sulla riscrittura del Trattato di Dublino sull'accoglienza dei migranti. L'Italia è riuscita a bloccare quel progetto saldando il proprio no con quello dei Paesi del gruppo di Visegrad. Eppure quell'opposizione muoveva da obiettivi diversi. Anzi, opposti. Per Roma, le quote di richiedenti asilo spettanti agli altri partner dell'Unione erano troppo basse; Orban e i suoi colleghi, invece, non erano disposti neanche a prendersi quei pochissimi previsti dal precedente accordo. Il punto è semplice: se la Lega - legittimamente - fa dell'interesse nazionale il faro della propria politica, perché i sovranisti degli altri Paesi dovrebbero comportarsi in maniera diversa? Perché quelli di Alternative für Deutschland non dovrebbero basarsi sul "prima i tedeschi"? E gli europarlamentari del Front National non dovrebbero ispirarsi al "prima i francesi"? In fondo, per i Paesi del Nord Europa i problemi degli italiani rappresentano grosso modo quello che noi viviamo a causa dell'immigrazione. Un attentato al nostro benessere. La richiesta di dividere in più fette la stessa torta. Sarebbero davvero disposti i sovranisti finlandesi o olandesi a mettere a rischio il bilancio europeo - e i loro solidissimi conti - per venire incontro alla nostra richiesta di fare più deficit? Paradossalmente, il momento migliore per andare a bussare alle porte dell'Unione europea sarà quello prima delle Europee, non dopo. Perché gli attuali vertici di Bruxelles, magari con l'obiettivo di arrestare l'avanzata degli anti-europeisti, saranno più propensi ad allenatare i cordoni della borsa. Un po' come avvenuto con la vicenda dei migranti, quando a soccorrere parzialmente l'Italia sono state Francia e Germania, non certo Austria o Ungheria. Quello che verrà dopo il voto del prossimo maggio, invece, è un'enorme incognita. Pensare di poter prevedere la nuova situazione e, ancor di più, di poterla governare verso una nuova era di politiche espansive per il bene comune è una pia e ingenua illusione. O l'ennesima semplificazione di inguaribili mistificatori.

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