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Malagò: "Il calcio vuole ripartire? Ognuno si assuma le sue responsabilità"

Tiziano Carmellini
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Ripartire, stare fermi ad aspettare, annullare tutto, o temporeggiare per trovare uno spiraglio e concludere una stagione comunque compromessa. Lo sport si interroga, per una parte ha già deciso, ma resta il nodo calcio che i vertici del pallone in questi giorni stanno cercando di sciogliere tra barricate, fazioni e le solite decisioni all'italiana. E con il numero uno dello sport italiano Giovanni Malagò, intervistato ieri da Il Tempo, partiamo proprio da questo.  Per approfondire leggi anche: Sullo scudetto decide solo la Figc «Il mio pensiero è chiaro. La decisione spetta solo ed esclusivamente a chi ha l'onere e l'onore di organizzare i campionati, in un Paese dove spesso ci sono sostituzioni e scavalcamenti di competenze, soprattutto in momenti di emergenza. Io conosco le regole del gioco e soprattutto devo rispettare le istituzioni del mio mondo: quelle sportive. Il Coni è la confederazione delle federazioni, poi ogni federazione ha il diritto e il dovere di prendere una decisione. Ognuno si deve assumere le proprie responsabilità. Ci sono le leghe alle quali alcune federazioni hanno delegato l'organizzazione degli eventi: campionati, calendari e tutto il resto. Io ho un rispetto sacro di questo, perché sarebbe un'ingerenza. Dopodiché, siccome l'universo mondo dello sport mi evidenzia perplessità, sottolineo che tutti quanti alla spicciolata hanno preso delle decisioni: chi di annullare il campionato, chi di sospenderlo sine die. Alla fine ognuno è padrone di fare le proprie valutazioni assumendosi però le responsabilità del caso». Insomma secondo lei la Serie A deve ripartire? «Voi parlate della ripartenza del calcio, ma di quale calcio? Non c'è solo la Serie A. Mi risulta che a breve la Figc si riunisca per stabilire le regole di ingaggio, le norme sanitarie da rispettare. È chiaro che ciò che potranno fare le grandi società non sarà possibile per alcuni club di Serie B o Lega Pro, ma è altrettanto chiaro che la salute di tutti i calciatori andrà sempre messa sullo stesso piano. Questo è un tema che la Figc dovrà affrontare: vediamo cosa deciderà, magari permetterà di ripartire a chi potrà rispettare i dettami medici e sanitari». Non c'è il rischio, cercando di concludere a tutti i costi questa stagione, di compromettere anche la prossima? «Questo è un denominatore comune, perché è evidente che per finire la stagione devi andare decisamente oltre la scadenza naturale, prendere il mese di luglio se non quello di agosto che fanno già parte della stagione successiva. Questo fa parte dei rischi del gioco». Si ha la sensazione che, come successo tra Regioni e Governo, nello sport ognuno stia tentando di fare a modo suo: il governo emana un decreto e poi ognuno lo interpreta. «Io sono un funzionario pubblico e come tale sono più che mai tenuto a rispettare il mio mondo. E questo dice che c'è una legge che ha dato un tipo di indicazioni, io non posso fare altro, perché non sarebbe corretto». Il presidente della Fit Binaghi ha chiesto un trattamento diverso in quanto il tennis è sport individuale e non può essere trattato come quelli di squadra. «Diciamo che essendo io il riferimento del mondo sportivo, evidenzio alcune riflessioni non senza perplessità, però mi devo limitare a questo: dopo vedremo gli sviluppi della questione. Il tema non è legato al riconoscimento di una disciplina, ma alla competizione: perché una cosa è allenarsi (vedi il calcio, ndr), un'altra è giocare una partita, ovvero spostarsi dal luogo dove stanno per andare gli atleti in Italia o all'estero per fare una competizione con tutta la delegazione». Si è parlato di Europei in Italia al posto del previsto torneo itinerante? «Spetta alla Uefa decidere, sono stati firmati dei contratti. Eppoi l'Italia non ha gli stadi per ospitare gli Europei: l'Olimpico, lo Juventus Stadium e la Dacia Arena sono gli unici a norma». Alla fine anche i Giochi di Tokyo si sono dovuti adeguare e accettare lo slittamento di un anno. «Per me il Cio e Bach sono stati strepitosi, perché tutti vedevamo la complessità e l'impossibilità di organizzare giochi olimpici nella data concordata e convenuta. Sono stati bravissimi a ricontrattare tutti gli accordi e spostare un evento di questa complessità. Perché una volta certificato dalla OMS che non si potevano effettuare nel 2020, si sono seduti e in quindici giorni hanno fatto un miracolo. Ne sono usciti in modo a dir poco brillante». Cosa cambia per il nostro sport? «Evidente che qualcosa cambi, perché se ti sei preparato per un evento e lo rimandi di un anno può succedere di tutto, dal punto di vista fisico, mentale e organizzativo. È chiaro che tanto più sei un atleta a fine carriera e tanto più c'è una riflessione diversa rispetto a un ventenne. Ogni federazione, tra un anno, verificherà se quell'atleta sarà ancora il più adatto a rappresentarla». Torniamo a Roma e alla Roma. Lei si era espresso su Friedkin a ridosso di un passaggio di proprietà che sembrava fatto. Sviluppi? «Quando la situazione stava andando verso la chiusura, premetto che il signor Friedkin non lo conosco, ho ricevuto da diverse persone amiche delle telefonate che mi aggiornavano sugli sviluppi. Qualcuno di loro aveva detto a Friedkin che una volta chiuso, una delle prime cose importanti da fare era incontrare il sottoscritto». E... «E niente, mi sono detto felice e che avrei fatto il possibile: ma sia chiaro lo avrei fatto anche se ci fosse stato un gruppo straniero che stava per acquistare una qualsiasi altra società. Poi queste persone mi hanno chiesto se potevano dare i miei riferimenti agli americani e così ci siamo sentiti e "whatsappati" tanto con il signor Friedkin quanto con il figlio. Dopodiché non ho più sentito nulla e sono fermo a quello». Insomma quando si parla di Roma Malagò c'è sempre. Ma cosa pensa del suo amico Totti che vuol fare il procuratore? «Francesco lo sento molto spesso, non è arrivato a questa decisione a cuor leggero, si è concesso un periodo sabbatico per prendere le sue decisioni: se fare il dirigente, l'allenatore o il procuratore. Ritiene, anche a ragione, di avere un fiuto e un occhio particolare per i giovani talenti. La sua scelta è legata soprattutto al fatto di voler andare avanti in qualcosa che sa fare e che gli piace». De Rossi sembra invece già avviato verso la strada della panchina: farà l'allenatore. «Mi sembra che le dichiarazioni di Daniele lo abbiano fatto capire chiaramente. Anche io penso che lui abbia le caratteristiche giuste e credo si iscriva al corso per allenatori, cosa che per esempio Francesco non ha voluto fare». Qual è la prima cosa che farà una volta finita la pandemia? «Andrò a trovare i miei genitori che non vedo da quasi due mesi, poi aiuterò mia figlia a tornare in Italia visto che è rimasta bloccata a Dubai con una bimba di sei mesi dopo la chiusura dell'aeroporto. Ma fuori dalla famiglia la prima cosa che voglio fare è andare al mare».

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