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Il cucchiaio che nutre la speranza di un Paese

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Sesbagli "quel" rigore, ci ripensi tutta una vita, e se non finisci al reparto psichiatrico ti sveglierai comunque madido di sudore e tormentato per molte notti a venire. E con te gemerà tutta una nazione che ti aveva aiutato, pregando, a mettere quel pallone sul dischetto. Chiedete a mille campioni: a Conti, Graziani, Di Biagio, Donadoni, allo stesso Di Natale. Tutta una carriera di prodezze, e decenni dopo incontri sempre qualcuno che ti guarda in tralice e ti ricorda quel dannato tiro. Assi che se potessero, strozzerebbero De Gregori e il suo «non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore». Per il colossale rischio neuronale che corre il tiratore (e con lui l'inconscio collettivo di tutto un Paese, roba da farci una class action per danno biologico nazionale), tentare il cucchiaio è da pazzi totali. O da geni. Perché quando ti decidi per quel gesto, sei come il fenomeno del biliardo che si appresta al leggendario "colpo sotto", quello che fa volare la biglia sopra ai birilli senza strappare il panno verde. E se lo fai quando la psicologia della battaglia ti è sfavorevole, sai che rovesciandone le sorti rinfrancherai milioni di tifosi mortificati dallo spread e dall'Imu. Sai che se la palla entrerà in rete mentre il portiere sfarfalla, in quel momento ripartirà l'Italia, almeno a livello simbolico. Ecco perché Pirlo ha fatto un regalo alla Penisola tartassata da Monti. E citando il Totti 2000 (e l'"inventore", il cecoslovacco Panenka, nel '76), ha riaperto i rubinetti del godimento, dello sberleffo popolare, della guasconeria tricolore. Con un cucchiaio che non conteneva sbobba da carcerati, ma un nettare calcistico più dolce di ogni Nutella.

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