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Gli Azzurri: «Mai più questo orrore»

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Una corona al muro fucilazioni poi lacrime ai racconti dei sopravvissuti

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Auschwitz,ore 10. La nazionale azzurra entra in campo, ma non è di calcio. Questa volta non si gioca, inizia la visita al campo di sterminio più grande d'Europa. Volti tirati, sguardi attenti. Il cielo coperto, e la temperatura bassa fa da cornice a uno scenario quasi irreale. «Il lavoro rende liberi». La scritta in ferro battuto accoglie la comitiva azzurra, guidata dal presidente federale Giancarlo Abete. Con loro anche esponenti dell'ebraismo italiano, il presidente del Maccabi Vittorio Pavoncello e tre reduci, che raccontano la loro drammatica esperienza all'interno del campo dove hanno perso la vita oltre un milione di ebrei. Pian piano gli occhi si arrossano, l'emozione prende il sopravvento. Baracche di legno, lunghissimi corridoi con foto appese ai muri, scatti di uomini annientati dalla follia umana con il pigiama a righe, il codice numerico, e la stella di David fissata sul petto. E poi le torrette di sorveglianza, dove i soldati erano appostati giorno e notte per controllare i deportati. E padiglioni, in cui la storia scorre sotto agli occhi che cedono involontariamente lacrime. Sono lacrime spontanne, lacrime di amarezza e di dolore. Sono passati oltre settant'anni, ma i muri di questo posto parlano ancora, raccontando una drammatica realtà. La follia trasuda dai muri, si tocca con mano: al di là del vetro ci sono le valigie con i nomi dei proprietari, che i proprietari non riavranno più. Poco più avanti una vetrina con i giocattoli dei bambini, le loro bambole di plastica, i trenini in ferro, coi colori corrrosi dal tempo, i loro vestitini. Tra il filo spinato e le baracche di legno i giocatori seguono attentamente i racconti, chiedono spiegazioni, fanno domande. Un paio di chilometri e si arriva a Birchenau, dove il binario della morte conduce dentro al lager. Gli azzurri si seggono davanti al muro della fucilazione, poi depongono una corona di fiori verdi, bianchi e rossi. Ognuno accende un lumino. «Sono cose che ho letto, le ho studiate a scuola, ma vederle coi propri occhi fa tutt'altro effetto - dice Chiellini - credo sia un viaggio da consigliare a tutti. Ti rimane dentro più di mille libri». La marcia degli azzurri procede lenta, silenziosa, incredula. «Mai più questo orrore. Quello che è accaduto qui non riguarda solo un popolo ma l'intera umanità. Il vostro dolore è il nostro dolore», il messaggio lasciato dal capitano e dal presidente Figc Abete, sul libro della memoria di Auschwitz. Si torna verso il pullman, si va verco Cracovia. Sono ottanta chilometri lastricati dal silenzio, dalle riflessioni, e dalla ricerca del senso della vita.

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