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Addio a Socrates «il dottore» ribelle

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Diquesta sequela di nomi, uno soltanto ne aveva ereditato il calciatore, futuro capitano di un Brasile forse nella più sontuosa e sfortunata versione di tutti i tempi. Ma per tutti era «Il dottore», per quella laurea in medicina che avrebbe lasciato a sonnecchiare in qualche cassetto, salvo a mettere in pratica i suoi studi quando si trattava di aiutare i derelitti, quelli che non potevano procurarsi in aiuto medico, una volta che lo Stato li aveva emarginati e ignorati. Era un grande uomo, posso testimoniarlo essendo stato onorato e gratificato dalla sua amicizia spontanea e sincera, nata nel corso di quel Mundial di Spagna che avrebbe esaltato la gloria degli Azzurri di Bearzot e messo alla berlina la tendenza del Brasile a estasiarsi al canto della cicala, respingendo la noiosa tendenza pratica della formica. Secondo me, quello dell'edizione spagnola è stato il Brasile più forte di tutti i tempi, per quanto labili possano essere i paragoni tra epoche diverse, per cui nella storia rimane forse al primo posto la formazione che il diciassettenne Pelè aveva guidato al trionfo in Svezia. Conservo ancora gelosamente, pur non avendo mai avuto la vocazione del collezionista, quella maglia della Nazionale Verdeoro sulla quale Socrates aveva scritto un'affettuossa dedica per mio figlio. Nel periodo in cui a Barcellona si giocava il gironcino a tre, con l'Italia nettamente sfavorita nei confronti di Brasile e Argentina, era quotidiano l'appuntamento con «il dottore» nella suite dell'Hotel Majestic nella quale Radio Globo aveva collocato il suo studio, e con i colleghi brasiliani. Facile essere conquistati non soltanto dalla simpatia del campione, ma dal suo coraggio, dalle critiche feroci verso quel governo militare che aveva allontanato dal Brasile tanti artisti famosi, da Vinicius de Moraes a Chico Buarque de Hollandia, senza mai abdicare al suo pensiero di uomo colto e civile. Aveva riportato a galla i suoi, nella decisiva sfida con l'Italia, con un gol fantastico da posizione defilata, ma i brasiliani farfalloni non avrebbero difeso un pareggio che avrebbe sancito il loro passaggio alle semifinali. Due anni dopo, Socrates sarebbe arrivato in Italia, con la maglia viola, ma purtroppo questa esperienza sarebbe stata definita fallimentare, senza tenere conto della diffidenza che lo aveva accolto, compagni gelosi del suo ingaggio e pervicaci nell'ignorarlo quando si trattava di passargli il pallone. Tornato in Brasile, avrebbe guidato l'autogestione di quel Corinthians, la cui maglia aveva onorato per otto anni. Ribelle per natura, ha voltato le spalle anche alla vita.

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