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Tre anni di magie e incomprensioni

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Èfinita, dunque. Zarate se ne va dopo tre anni in chiaroscuro. In poco tempo è passato da simbolo del riscatto laziale dopo anni di mediocrità a palla al piede da sbolognare al primo acquirente che si presentava alla porta di Formello. Un epilogo triste, che fa male ai tifosi che lo amavano a prescindere dai suoi discutibili atteggiamenti all'interno della squadra, una fine già scritta dopo il turbolento rapporto con Reja. Ma partiamo dall'inizio. Arrivo in sordina fino a quella partita che fece scoccare la scintilla dopo lo sbarco a Roma in prestito dall'Al Sadd. Il 31 agosto del 2008 a Cagliari segna subito una doppietta dopo che il presidente Lotito aveva imposto il suo impiego dal primo minuto a un riluttante Delio Rossi. Il tecnico romagnolo comprende l'errore e decide di puntare sul talento di Haedo da cui fu ripagato da tredici gol, prestazioni straordinarie e dribbling ubriacanti. Il gol nel derby, quello di Torino contro la Juve a Buffon e soprattutto una prova da fenomeno nella finale di Coppa Italia che resta la notte più bella. Poi l'amore dei tifosi conquistati da questo ragazzo dalla faccia pulita che stava facendo sognare il pubblico biancoceleste. Venti milioni cash, tanto paga Lotito per il suo gioiello con una deroga per certi versi inattesa alla sua parsimoniosa gestione. A quel punto, però, un lento declino, un'involuzione imprevedibile fino allo strappo finale. Rossi era riuscito a gestirlo, Ballardini fallisce su tutti i fronti. «L'ho messo a marcare Daniele Conti», disse alla fine di un Lazio-Cagliari: un delirio tattico! Il progetto di campione avvilito tra panchine e una prima discussione animata con il diesse Tare. A febbraio l'avvento di Reja per salvare i biancocelesti da una lenta caduta verso la retrocessione in serie B. Come prima mossa Edy mette in panchina Maurito e si affida alla coppia Rocchi-Floccari: azzardo vincente per la salvezza perché Zarate insisteva durante le partite in giocate per la platea senza aver compreso la difficoltà del momento. La stagione chiusa qualche mese fa avrebbe dovuto essere quella del riscatto, tutti volevano rivedere il vero Maurito, quello del primo anno. Niente da fare, qualche prestazione da incorniciare ma anche tanti atteggiamenti censurabili che hanno reso sempre più burrascoso il suo rapporto all'interno del gruppo. Si presenta in ritardo a un'ecografia alla Paideia, salta l'allenamento di rifinitura della sfida contro il Catania (parte in panchina poi entra e trascina la squadra), non partecipa coi compagni al giro di campo dell'ultima gara in casa contro il Genoa. Non contento «liscia» la cena di festeggiamento col resto della squadra per il ritorno in Europa e non riesce più a legare con lo spogliatoio nonostante i tentativi di alcuni giocatori di provare a riavvicinarlo al gruppo. Chiude la sua parentesi alla Lazio con 119 presenze e solo 33 gol. L'epilogo di ieri, il divorzio definitivo con quel messaggio a Moratti che segnala tutta la sua voglia di fuga alla faccia dell'amore dei tifosi. Che ora piangono e forse hanno ragione. Tra Reja e Zarate, si è puntato sul tecnico: tra qualche mese si capirà se Lotito non abbia preso la strada sbagliata. Di certo restano tanti rimpianti per non aver saputo gestire la crescita di un talento grezzo.

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