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Il calcio sciopera. Facciamoci del male

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Lo Stadio Olimpico di Roma vuoto

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La frittata è fatta! Il calcio italiano continua a farsi del male da solo, modello Tafazzi, con ripetute «legnate» sui punti poco illuminati, senza rendersi conto di quanto sta accadendo nel resto del Paese. La prima giornata di campionato in programma per questo weekend non si giocherà e al momento anche la seconda (sabato 11 e domenica 12 settembre) è a forte rischio: c'è l'ipotesi di una «chiusura» a oltranza. Non un vero e proprio sciopero nel senso vero del termine, ma il rifiuto dei calciatori a scendere in campo senza la firma del rinnovo del contratto collettivo, gli assomiglia molto. A dirla tutta ieri i giocatori avevano mandato segnali di disgelo alla Lega di serie A proponendo un «contratto ponte» da firmare subito per poter poi riprendere le trattative con calma una volta partita la nuova stagione. «Firmiamo un contratto valido fino al 30 giugno 2012, sulle basi dell'accordo raggiunto con Campana. Così il campionato comincia e subito discutiamo per un nuovo accordo» l'apertura di Damiano Tommasi presidente dell'Aic. Secco e irremovibile il «no» delle società che non vogliono retrocedere su nulla e rimandano la palla dall'altra parte del campo additando ai calciatori tutte le colpe dello «sciopero». «Non vedo perché dovremmo firmare un accordo ponte - la replica di Beretta presidente di Lega - che ricalca quello ipotizzato all'origine della vertenza da Campana. Quella dell'Aic era una proposta fatta per farsi dire di no, mi pare abbastanza evidente: la resistenza dell'Aic è incomprensibile, loro fanno un sindacato ideologico». Insomma il muro contro ha portato alla rottura delle trattative e a una chiusura che rischia adesso di prolungarsi ben oltre la prima giornata di campionato. E a nulla è servito l'appello di Calderoli, proprio colui che aveva più volte attaccato apertamente i giocatori sul contributo di solidarietà, che ha chiesto chiaramente ai presidente dei club di serie A di fare un passo indietro. «Credo che stavolta i presidenti farebbero bene ad accogliere la richiesta dei calciatori e a far partire il campionato. Se il problema è il contributo di solidarietà lo risolviamo noi per legge». Così non è, o almeno è solo in parte, perché il vero nodo sul quale si è inchiodata la trattativa per il rinnovo del contratto è l'ormai noto articolo 7. Tra i due litiganti il terzo stavolta non gode. Fallito il tentativo di mediazione di Giancarlo Abete che ha rimediato una sportellata dai club forse anche per i motivi «politici» che già in passato lo avevano visto al centro della bufera (vedi il caso-extracomunitari). Il presidente della Figc non si da pace ed esprime tutto il suo rammarico per la rottura della trattativa. «C'è amarezza perché c'erano tutte le condizioni perché questo non avvenisse - spiega - è assolutamente incomprensibile il fatto che non si sia arrivati alla firma per situazioni collegate all'ipotetico (il decreto deve essere ancora approvato, ndr) contributo di solidarietà e all'articolo sette sugli allenamenti differenziati. Occorre immediatamente attivarsi perché questo tipo di evento traumatico sia limitato a una sola giornata di campionato». Intanto va in onda il primo sciopero del calcio dopo lo stop «imposto» dalla sentenza Bosman che rivoluzionò in qualche modo il pianeta del pallone. Una soluzione quindi praticamente impossibile da trovare al momento anche se trapela l'ipotesi di un commissariamento della Lega per far si che il campionato inizi: al momento comunque restano solo voci. E la «questione Italia» è arrivata fin sotto la scrivania di Michel Platini presidente della Uefa che dopo il caso-Spagna deve assistere anche al tira e molla tricolore. «Vedo luci rosse preoccupanti» ha detto il numero uno del calcio europeo che spera si trovi, così come successo nella Liga spagnola, una mediazione che sblocchi la questione «pallone». Quindici giorni per discutere, provare a tornare attorno a un tavolo e magari riuscire e rendersi conto, tutti, che di problemi questo Paese ne ha già abbastanza.

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