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La credibilità esce a pezzi da questa estate

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Rischia,il calcio italiano, di degradarsi a bettola di carrettieri, sempre che di questa benemerita categoria sia disponibile ancora qualche rappresentante. Sta per prendere il via, la nuova stagione, sotto un cielo gravido di nuvoloni neri, perfino al di là dei problemi economici che relegano i nostri club ai livelli dell'Europa dei poveri. Già da oggi la prima picconata a un'immagine di per sé pochissimo suggestiva arriverà dalle sentenze del tribunale sportivo, con penalizzazioni e squalifiche. Una disavventura già vissuta all'inizio degli anni Ottanta, protagonisti sprovveduti messi in mezzo da Trinca e Cruciani, per passare a Calciopoli, i cui echi tuttora risuonano nelle aule della giustizia civile. Per non parlare della parentesi dei ladri di galline, quelli che parlavano di uomo nero per non nominare gli arbitri. Prestigio difficile da recuperare agli occhi del mondo, non basta la parentesi di Pechino: più che dignitosa, anche se sarebbe bastato molto meno per accendere l'infantile entusiasmo dei cinesi di fronte a un livello calcistico sconosciuto da quelle parti. Adesso irrompe la vicenda sindacale che minaccia di far slittare l'avvio del campionato. Poiché di pane e demagogia è uso nutrirsi il nostro amato popolo, facili trovare spunti per questa diatriba avvilente. Si è già detto quanto sia anomala la posizione di un calciatore professionista, status non paragonabile a categorie in cui chi fallisce rischia la fame, mentre i nostri bravi ragazzi avrebbero comunque moderato benessere assicurato. Il nodo cruciale della vertenza in atto tra l'Aic di Damiano Tommasi e una Lega che non riesce a esprimere una guida carismatica, è un serpente che si morde la coda. Non soltanto i «fuori rosa» al centro dello scontro, basterebbe che le regole si ispirassero al buonsenso. Peggio ancora per gli allenamenti differenziati: non si capisce come un tecnico possa gestire e preparare una rosa di trenta elementi. Certo, si potrebbe sempre suggerire di sfoltirli radicalmente, questi organici fuori misura, ma allora si allargherebbe la schiera dei disoccupati, una prospettiva che non può certo rallegrare un sindacato. Anche se in Italia i problemi di un calciatore vengono visti con simpatia e solidarietà superiori a quelle riservate ai cassintegrati con famiglia a carico. Dalle due parti, petti in fuori senza retrocedere di un passo, ma anche senza che questi aspetti della questione si guadagnino un minimo di chiarezza da parte dei padroni o dei subalterni. Logicamente i venti presidenti di club se ne sbattono delle violenze e degli impianti obsoleti, problemi che Germania, Inghilterra e Spagna hanno risolto da tempo. Perfino un'amichevole di prestigio come quella di Bari contro i campioni del mondo spagnoli propone qualche spigolo sgradevole, come l'attacco dei Della Valle a Cesare Prandelli, offeso per un gesto di normale cortesia verso un gruppo di tifosi, senza prendere posizione, non si sa di che cosa si sarebbe dovuto scusare. Diventerebbero parole grosse, quelle spese per un augurio di buon divertimento.

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