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Gli orfani della prima repubblica

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Ènata la nuova Roma. Con tutti i problemi e i rallentamenti tipici di una creatura in fasce, ma lo strappo col passato (anche se l'apparenza direbbe il contrario) è stato netto: deciso come forse in molti non si aspettavano. E l'addio della gestione Sensi, non priva di veleni in coda dispensati anche via etere in pieno modello prima repubblica, ha portato via con sé anche vecchi privilegi. E c'è chi non l'ha presa bene, c'è chi si ostina a non capire che qualcosa stavolta è cambiato davvero e che «budget», ripicche e minacce rischiano di non funzionare più: o addirittura di sortire effetti contrari. Non che i nuovi proprietari abbiano delle priorità e delle preferenze particolari nella scelta dei «loro» interlocutori (proprio perché questo modello non sembra appartenergli), ma l'idea generale è che si riparta da zero: tutti uguali, allo stesso modo senza preferenze... Pensa te! Dura perdere le vie preferenziali, non ricevere la telefonata serale di aggiornamento, rinunciare a passaggi in auto e a tutte quelle piccole accortezze ormai divenute routine. Coccole... Ma tra il nuovo che avanza c'è anche del vecchio che resta: e non tutto è tradizione e qualità. C'è addirittura chi si riscopre paladino di battaglie mai fatte (o peggio ancora combattute per interessi personali e non direttamente collegabili alla Roma intesa come società e non dirigenza) e si lamenta di ritrovarsi di fronte vecchi nemici... Ma di chi!? Non certo della Roma e si aggrappa a «vecchi» amici (anche qui ci sarebbe da aprire un capitolo a parte) per gettar fango e provare a contare ancora qualcosa. Inutilmente. Intanto arriva, finalmente, un nuovo presidente: non ancora quello vero, ma comunque un segnale dell'evoluzione ormai inarrestabile di un club che cerca di rimettere la testa fuori dopo un lungo periodo di apnea. Durerà solo un mese l'avventura dell'avvocato Cappelli (eletto ieri dal cda giallorosso) che da romanista doc non sta nella pelle, pur sapendo che al massimo il primo agosto dovrà cedere lo scettro al futuro presidente della Roma: quello vero. Thomas DiBenedetto è atteso nella Capitale come il salvatore, come colui che dovrà risollevare le sorti di un club fin troppo vessato da problemi economici e gestionali. Il momento clou è arrivato, lo chiamano «closing» ma di fatto si tratterà dell'inizio di una nuova era: quella del futuro. Difficile dire se sarà vincente da subito e se incontrerà i favori del popolo romanista, ma le premesse per tornare a sognare ci sono tutte. Per il momento il motto collettivo affidato più che alla sostanza alla qualità dei nuovi interpreti è: «Lasciamoli lavorare». E così sia!

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