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La partita perfetta

Il Barcellona rifila un incredibile 5 a 0 al Real Madrid nel

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«Mas que un club». Più di un club. Già dal proprio motto il Barcellona ha la pretesa di distinguersi da tutti gli altri club, evidenziando la differenza non solo sportiva, ma anche di carattere sociale. La partita perfetta, nel giorno del centoundecimo anniversario dalla fondazione del club, è soltanto la punta di un iceberg: dietro al cinque a zero rifilato alla «casa Real» di Mourinho c'è molto più di una squadra. Alla base di tutto c'è il senso di appartenenza - non solo calcistica - ma anche politica, sociale, culturale. Fondata nel novembre del 1899 da ragazzi svizzeri e inglesi, il Barcellona rappresenta uno dei club più importanti del mondo. La società conta 172 mila soci: il più famoso è stato Papa Giovanni Paolo II, insignito del titolo di socio onorario nel 1982, durante una sua visita pastorale effettuata in Catalogna.   La società rappresenta il più grande esempio di azionariato popolare per un club di calcio, e ha un fatturato annuo che supera i 360 milioni di euro frutto dei numerosi ricavi legati al merchandising, alle sponsorizzazioni, e al botteghino: i centomila posti del Nou Camp sono tutti occupati dagli abbonati. Da Suarez e Kubala, passando per Cruijff, Maradona, Stoickov, Romario, Ronaldo, Rivaldo, fino ad arrivare a Figo, Ronaldinho e Messi: i blugrana hanno da sempre una grandissima tradizione fatta di campioni e successi. Venti titoli della Liga, 3 coppe dei Campioni, 4 coppe delle Coppe, 3 Supercoppe europee, 25 coppe del Re, un Mondiale per club: la bacheca dei catalani è ricchissima. Nell'anno di grazia 2009 sono arrivati sei trofei su altrettante manifestazioni: Liga, Coppa del Re, Champions League, Supercoppa Europea, Supercoppa spagnola, Mondiale per club. «Mas que un club», più di un club: il Barça rappresenta nel mondo l'identità catalana, negata da Francisco Franco dopo la soppressione delle identità regionali. Anche per questo la rivalità col Real Madrid, identificato come il club del centralismo del regime, si è acuita nel corso del tempo assumendo anche un significato politico e culturale. La parola magica del successo sportivo degli ultimi anni è «cantera», ovvero la cava. È lì, nel settore giovanile che i tecnici del Barça cercano diamanti grezzi da poter mostrare strada facendo. Lunedì scorso, nella notte del trionfo, erano in campo otto giocatori della cantera: Valdes, Pique, Puyol, Xavi, Busquets, Iniesta, Pedro, Messi. E lo stesso allenatore, Pep Guardiola, prima di sedersi sulla panchina ha fatto tutta la trafila nel vivaio. Le «pepite» che arrivano dalla cava vengono intagliate a poco a poco, giorno dopo giorno. La storia di Messi è a metà strada tra un racconto da libro cuore e una favola di Disney: Leo è un bambino di 12 anni, affetto da deficienza da somatotropina. È alto 140 cm, non cresce in altezza, non sviluppa. È una malattia rara. I genitori sono di origini italiane (Recanati), umili operai che faticano ad arrivare a fine mese, e non hanno soldi per pagare i costosissimi medicinali. Carles Rexach, osservatore del Barcellona, lo vede, e decide di scommettere su di lui pagando le sue cure e offrendo ai genitori un posto di lavoro: Messi ha soltanto dodici anni. Il padre firma la bozza di contratto in una caffetteria di Rosario, su un tovagliolo di carta. La famiglia si trasferisce in Spagna, Leo gioca a calcio, ma soprattutto vince la sua battaglia. Oggi Leo Messi è alto 168 cm: in carriera, a livello di club, ha già vinto tutto, compreso il Pallone d'oro. È l'unico erede di Maradona, e ambisce a diventare il miglior calciatore di tutti i tempi. Tutto questo grazie al Barça, «mas que un club». Mentre Mourinho deve incassare anche due turni di squalifica dalla Uefa per le «espulsioni» di Ramos e Alonso nella partita di Amsterdam contro l'Ajax (la seconda però con la condizionale). Per tutti anche multe di 10.000 euro mentre il club pagherà addirittura 120.000 euro. Non è un bel momento per Mou.

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