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Roma sogna il bis

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Afare da corona al senatore a vita, Gianni Letta, Petrucci, Alemanno, Carraro, Pescante, Crimi, Pancalli e Pagnozzi. Interventi fatalmente di circostanza, parte dei quali tuttavia destinati a lasciare una traccia in quanti si applicheranno, di qui a poco, nell'impresa di sostenere in Italia e all'estero la prossima ipotesi olimpica. Esplicita, in tale chiave, una considerazione di Letta. Ricordando come la candidatura romana per l'edizione del 1908, tenacemente sostenuta da Pierre de Coubertin, inventore dei Giochi moderni, si fosse risolta in un fallimento per gli attriti politici dell'epoca, l'uomo indicato come vertice del Comitato promotore per la candidatura dei Giochi del 2020 ha espresso l'auspicio che analoga ipotesi venga scongiurata in vista del prossimo impegno. Anche il percorso organizzativo del 1960 non fu tutto rose e fiori. Malgrado il vigile sostegno di Andreotti, Giulio Onesti, Presidente del Coni, fu infatti costretto in tre occasioni, e tutte nel 1958, a varcare il portone del Quirinale per assicurarsi, per voce del Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, ogni possibile garanzia di buon lavoro e di autonomia. Ferma restando la micidiale concorrenza di altre città candidate, non ultima quella ascrivibile al Sudafrica, è fin troppo evidente come il problema italiano e romano sia legato alla necessità di muoversi con unità di intenti, idee chiare, finanziamenti certi e trasparenze organizzative. Quasi un'utopia, dati i tempi. I rischi nascono anche da iniziative apparentemente innocenti, come quella sottoscritta a favore dei Giochi del 2020 dall'associazione dei commercianti capitolini e sintetizzata nel «Caro 2020», dove l'ambiguità dell'acronimo è, nella malizia dei più, fin troppo palese.

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