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Esaurito un ciclo lungo diciassette anni

Rosella Sensi con il padre Franco in una foto d'archivio

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E venne il giorno - la sera, anzi - della fumata bianca. Un'attesa lunghissima, risvolti gradevoli o meno, momenti drammatici per quanti amano la Roma, l'amaranto e oro della sua storica bandiera. Si chiude, con un orizzonte ancora da delineare, la saga della famiglia Sensi, una parentesi di diciassette anni di glorie, di amarezze, di intermezzi difficilmente decifrabili. Nessuno dovrà mai dimenticare, però, quanto Franco Sensi abbia dedicato, in termini di amore autentico e di risorse economiche rilevanti, per trarre la società in salvo, fuori dalle sabbie mobili nelle quali l'aveva precipitata la fallimentare gestione Ciarrapico. La politica, che quando si muove nell'ambito dello sport produce puntualmente disastri, aveva deciso di impedire a Sensi di raccogliere l'eredità di Dino Viola, consegnando la Roma nelle peggiori mani possibili, soltanto un anno dopo si sarebbe verificato l'auspicato passaggio, a un prezzo molto più elevato. Tempi brevissimi per il duopolio con Mezzaroma, poi un unico padrone fino al tristissimo addio al patriarca, nel momento in cui della sua figura carismatica la società avrebbe avuto maggiormente bisogno. Romanista verace, Franco Sensi aveva visto suo padre Silvio costruire il leggendario Testaccio, timide prove di dirigenza lo avevano visto vicepresidente di Anacleto Gianni nell'anno dell'unico trionfo europeo, la Coppa delle Fiere del 1961. Chiaro che il fiore all'occhiello di una gestione per molti anni ricca di luci più che di ombre, rimane lo scudetto, il terzo della storia romanista, conquistato nel 2001, al timone quel Fabio Capello che i suoi incarichi ha sempre onorato con le garanzie di campagne acquisti onerose. Quel trionfo, il presidente avrebbe dovuto pagarlo in termini di affetto, espresso con premi generosi e rinnovi di contratto molto pesanti, che in qualche modo avrebbero avuto riflessi negativi sul futuro. Ma la Roma avrebbe dovuto soffrire anche le conseguenze di una politica industriale forse più umorale che realmente mirata, parlo del porto di Civitavecchia, degli Aeroporti di Fiumicino, per non parlare di improbabili iniziative calcistiche, come il Palermo e il Nizza. Con la scomparsa del patron, la famiglia si è tenacemente abbarbicata alla società, che però ha perduto spessore e capacità organizzativa, fino a risultare del tutto deficitaria dal punto di vista della comunicazione. Mercato precario, difficili equilibri di bilancio, hanno trovato felicissima copertura nelle imprese di una squadra che ha raggiunto traguardi superiori alle sue risorse, fino a meritare uno scudetto che l'Inter le avrebbe sottratto con pochi meriti, fino a ergersi, per tutte le recenti stagioni, salvo la penultima, come unica antagonista della squadra dominatrice in Italia. Inascoltate offerte rilevanti, da Soros in poi, ai più recenti candidati è stato opposto l'ostacolo di un prezzo estraneo ai valori di mercato. Da oggi si ricomincia, la successione è aperta.

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