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Un campione non deve mai lasciarsi andare

il calcione del capitano della Roma Francesco Totti all'attaccante dell'Inter Mario Balotelli durante la finale di Coppa Italia allo stadio Olimpico di Roma

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Sgombriamo subito il campo da equivoci: malgrado la fede juventina, riconosco che Francesco Totti è un campione, lo apprezzo per le iniziative di solidarietà e ammetto che mi sta simpatico negli spot tv con Ilary. Ma quel calcione rifilato a Balotelli lanciato in area non mi è piaciuto per niente perché tanta cattiveria non è ammissibile e tanto meno giustificabile. Proprio perché Totti è un campione e come tale si deve comportare, direi dentro e fuori dal campo di gioco. Perché a guardare quello che fa non sono soltanto i tifosi che riempiono lo stadio e stravedono per lui, ma tutti quelli, grandi e piccoli, che lo seguono da casa, lo ammirano, ne esaltano le gesta e ne seguono l'esempio. Qualunque sia stata la provocazione, quel fallo all'interista, innegabilmente un grande provocatore, si ripercuote nell'immaginario dei più deboli, dei tanti bambini che sgambettano nei campetti di quartiere con la maglia giallorossa, quei bambini di cui è ambasciatore nel mondo. E non giustifichiamolo dicendo che lui ne ha presi tanti di calci, che gli hanno rotto le gambe, che siamo tutti colpevoli, che la strafottenza è nel dna dei romani e che un campione non è un robot ma ha un'anima e un carattere che provoca certe reazioni. Anche brutte. Perché la maglia con la scritta «Vi ho purgato ancora» per far imbestialire i laziali dopo un derby vinto fu folcloristica e fece ridere, quella mano con il segno 4 sventolata agli juventini ci poteva pure stare, ma già il doppio pollice verso nell'ultima stracittadina il Pupone lo sapeva che avrebbe lasciato una scia velenosa. Per non parlare dello schiaffo che rifilò un suo ex compagno di squadra, che lo aveva offeso «come padre e come marito» o dello sputo, manco fosse stato un lama del Perù, al danese Poulsen. Quello dell'Olimpico, come hanno visto bene tutti, è stato un fallo rabbioso figlio di un lampo di follia che il talentuoso numero 10 non può permettersi perché lui non è soltanto un campione, ma è un simbolo, una bandiera. Una bandiera che rischia di colorarsi anche un po' di vergogna come peraltro già accaduto ad altri fuoriclasse che con la stessa facilità hanno fatto imprese e follie. Anche a chi non mangia pane e calcio, tornano alla mente altri gesti clamorosi di altri fuoriclasse a cominciare da la corsa imprevedibile di un lord del calcio come Marco Tardelli che in scivolata colpisce e atterra un ignaro Gianni Rivera; lo storico "kung fu kick", il calcio volante che il marsigliese Eric Cantona (chiamato dai tifosi del Manchester con understatement «Dio») rifila a un tifoso avversario che gli insulta la madre; la capocciata che Zinedine Zidane, altro marsigliese, stampa sul petto di Marco Materazzi stendendolo alla finale dei mondiali 2006. Insomma, non solo non è da campioni comportarsi senza cervello, ma non è da uomini, adulti e vaccinati. E forse Totti lo ha capito visto che ieri sera ha chiesto scusa ammettendo di aver sbagliato. Ed ha aggiunto: «La cosa brutta è che rimani solo». Ma questo capita più ai campioni che agli uomini...

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