Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Lazio-Inter, rabbia e minacce a Roma

Tifosi nella curva Nord dell'Olimpico (foto Gmt)

E il Palazzo si rianima per il pallone

  • a
  • a
  • a

Ci mancavano le minacce di morte. La notizia più allarmante del post Lazio-Inter la dà Claudio Lotito e si riferisce a un gesto che ha preceduto lo scempio sportivo andato in scena nel teatrino dell'Olimpico. Il presidente laziale ha raccontato di aver ricevuto una busta anonima con all'interno dei proiettili di grosso calibro e la minaccia di morte «se non battete l'Inter». La Roma del calcio avvelenato non conosce limiti. Lotito, in attesa di formalizzare la denuncia alla Digos, collega l'episodio al clima di violenza che si è creato in città dopo il derby. Sono arrivate «vere e proprie minacce fisiche - aggiunge - sia ai calciatori che al presidente ed ai dirigenti della Lazio». Da una parte i tifosi biancocelesti che chiedevano una sconfitta - «se vincete ve menamo» hanno cantato allo stadio verso i propri giocatori - dall'altra i romanisti che fiutavano lo sgarbo laziale e hanno provato a impedirlo. A quanto racconta Lotito, anche con minacce di morte. La Lazio si sente vittima di attacchi ingiustificati, «perché noi non dobbiamo chiedere scusa a nessuno, sono gli altri ad aver istigato alla violenza». Al di là della trincea la Roma schiuma di rabbia. «Non è stata una partita quella di domenica - l'accusa del direttore sportivo giallorosso Pradè - è stata un'esibizione. È andata in modo visione. Mi piacerebbe sentire il parere del presidente Lotito. In settimana ha parlato molto e a tutti è nota la sua loquacità». Il parere di Lotito l'ha sentito dopo, ed è diametralmente opposto al pensiero romanista. Ieri la Roma ha deciso di evitare passi ufficiali. Sulla carta c'era la possibilità di chiedere l'intervento della procura federale. A Trigoria hanno preferito attendere che il Palazzo si muovesse in autonomia e la Sensi si è limitata a una telefonata con richiesta di spiegazioni al presidente della Lega Berretta. Ma a quanto risulta, non partirà nessuna indagine. Solo nel caso in cui gli ispettori federali presenti domenica allo stadio avessero notato delle irregolarità, il procuratore della Figc Stefano Palazzi potrebbe aprire un fascicolo. Non è successo ieri e difficilmente succederà nei prossimi giorni. La procura del calcio è concentrata su altre vicende (Calciopoli 2 e il possibile «ritiro» dello scudetto 2006 assegnato d'ufficio all'Inter), a Roma saranno costretti a lavarsi i panni in famiglia. Le tensioni del calcio capitolino impazzito acuiscono i contrasti tra tifoserie, dirigenti e giocatori. Tra i tanti «spifferi» di Trigoria e Formello c'è una teoria comune: le litigate scoppiate alla fine del recente derby e il gesto di Totti avrebbero convinto il giocatori laziali a tirare indietro la gamba contro l'Inter. Perché nella città che schiuma odio quando c'è di mezzo il pallone non è pensabile favorire la rivale. E se non la si batte nel derby, bisogna vendicarsi dopo. Vaglielo a spiegare agli stranieri. Ci hanno provato ieri mattina Totti e De Rossi, romani vaccinati e per niente stupiti dell'atteggiamento dei laziali. Nello spogliatoio i vari Riise, Pizarro e Juan erano increduli. «Mi sembra impossibile aver visto una partita del genere» ha raccontato il terzino norvegese ai tifosi. «Io continuo a crederci» il grido di speranza del brasiliano Juan, mentre il giovane Cerci parla di un Lazio-Inter come «partita dopata». De Rossi si tiene il pensiero per se quando i tifosi glielo chiedono. «Di queste cose parleremo in conferenza stampa». Allungando la coda di un derby infinito. E insopportabile.

Dai blog