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Fabrizio Fabbri Matteo Boniciolli, il coach che ha preso in mano la Lottomatica dopo l'addio di Gentile, lancia la sfida a Siena.

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InCoppa Italia Avellino è stato l'ultimo club a vincere un trofeo. Allenando Bologna invece perdemmo di misura, e poi ci fu un'altra sconfitta in casa in campionato, con due liberi che ci furono tolti dopo essere stati assegnati. Sono convinto che possiamo batterli. Per farlo dovremo guardarli negli occhi senza paura. Mi fa arrabbiare leggere di miei colleghi che prima di giocare con la Mps si sentono sconfitti. Io non la penso così e lo dico sempre ai giocatori». Cosa le ha dato maggior soddisfazione in questi primi mesi romani? «La crescita rispetto alla situazione di sbandamento che avevo trovato. Oggi la squadra sta assumendo un'identità precisa anche se siamo in ritardo, rispetto agli altri, di 3 mesi. Ma abbiamo potuto supplire con il talento. Man mano che il sistema verrà acquisito limiterà anche le carenze strutturali». E dove ha incontrato le maggiori difficoltà? «È la prima volta in cui fatico a entrare in sintonia con la squadra. Non ho mai avuto problemi di comunicazione con i giocatori. Ora ci siamo trovati sulla stessa lunghezza d'onda, anche se bisognerà attendere la prova del campo». Qualcuno dice che nella scelta di affidarle la Virtus è stato decisivo un intervento di Veltroni. «Non lo so. Tra di noi c'è stima e lui è un grande tifoso. Il mio nome era in una rosa. Ognuno avrà avuto qualcuno che sperava che Tizio piuttosto che Caio si accasasse alla Lottomatica. Toti è una persona intelligente e alla fine la scelta è stata solo la sua». Che rapporto ha con Roma? «Non faccio captatio benevolentiae nel parlare bene di questa città meravigliosa. Qualche giorno fa, dopo aver visto al cinema "Invictus" e aver pianto almeno tre volte, sono andato in giro a piedi per tre ore in mezzo alla storia. Anche la gente è fantastica. Generosa, aperta, solare. La settimana prossima andrò a fare un allenamento in una squadretta di periferia. Me lo ha chiesto un coach che durante il giorno fa il fioraio. È un modo per capire di più le persone e restituire un po' di ciò che il basket mi ha dato». Qual è la sua personale fotografia di Roma? «Il Ghetto. A parte le bellezze architettoniche c'è il peso di quei giorni terribili dell'ottobre 1943. Passare in quelle strade significa tenere vivo un ricordo che non va cancellato». Torniamo al basket. A Roma si può vincere? «Sì. E il sogno e l'obiettivo si chiama scudetto. Se mi daranno tempo ci riusciremo». Il coach di Siena Pianigiani, dopo la vittoria su Milano, si è lamentato degli arbitri. «Ho parlato con Sabatini, il presidente di Bologna, e gli ho proposto di aprire anche qui un gazebo di solidarietà nei loro confronti. È esagerata questa esternazione anche perché Pianigiani deve ricordarsi che ora oltre ad allenare un club è il Ct della Nazionale. Lo avrà fatto per far crescere il movimento e migliorare gli arbitri». Nel basket esiste la sudditanza psicologica? «Da sempre nello sport i vincenti godono di un occhio di riguardo. Ma per averlo uno deve guadagnarselo coi risultati. Magari gli arbitri più inesperti sentono il peso del blasone di una squadra che in Italia domina da quattro anni».

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