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Non è razzismo solo quando c'è Balotelli

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Inperfetta sintonia con la sua supertifosa, Francesco Totti ha praticamente sollevato lo stesso problema quando, reduce dalla bella vittoria della Roma sulla Juve, ha rivelato il trattamento ricevuto dai tifosi bianconeri: «I cori di Torino sono stati tra i peggiori che abbia mai sentito. Dalle gradinate mi hanno insultato per tutta la gara. Mica sono insulti solo quelli per Balotelli! Anche se non sono di colore, gli insulti li prendo pure io. Forse non si chiamerà razzismo, ma il senso è lo stesso». Chiaro, no? Eppure non ho ascoltato, durante le telecronache, particolari accenti di condanna dei professionisti dell'insulto presenti all'Olimpico torinese nonostante il «blocco» della curva ultrà i cui tradizionali ospiti si sono evidentemente trasferiti nelle tribune; né ho registrato i turbamenti di quei maestrini dell'etere che affidano alle radio il loro grave disappunto per la campagna d'odio - così la definiscono - nei confronti del Balotelli che nel cuor mi sta; e neppure ho letto corsivi grondanti scoramento e vergogna per le intemperanze anti-Totti, mentre si solennizza con un pezzo al giorno il (presunto) razzismo degli italiani che - attraverso gli insulti indirizzati al giovane talento interista - vorrebbero colpire tutti i giocatori neri, in realtà fortemente amati dai rispettivi tifosi e ammirati dalla collettività pallonara. Ricordate le campagne nordiste contro i meridionali? «Lavatevi!», gridavano ai napoletani; «Forza Etna!», auguravano ai siciliani. Ah, che simpaticoni! Maleducati, d'accordo, ma non mettiamola giù pesante. Anzi, con quel «Giulietta è una zoccola» esposto durante un Verona-Napoli i partenopei hanno pareggiato il conto, anzi hanno vinto per salacia. E Totti? Quante se ne possono dire a Totti, a sua moglie e ai romani in genere? Se c'è razzismo, in Italia, spesso è fra noi italiani, nordisti e sudisti, terroni e polentoni: ma ci abbiam fatto l'abitudine e ormai esistono una vasta letteratura e una colorita filmografia che ridimensionano il tutto a espressione dell'Italia dei Comuni; a volte dei quartieri, dei rioni, dei vicoli, dei portoni. Su questi ultimi un tempo a Torino scrivevano «non s'affitta ai meridionali», l'ho visto coi miei occhi: poi, quando si sono accorti che la Fiat aveva bisogno dei meridionali, tutti zitti e buoni. Il «caso Balotelli» è frutto di stupidità, a volte demenza, maleducazione, a volte scelleratezza; e d'invidia: il ragazzino - fatemelo dire, ha appena vent'anni - è un fuoriclasse, se non si perde per via (o dal parrucchiere) sarà una figurona nell'Albo dei Grandi. Dei ventenni ha la gagliardia e anche l'impudenza (si cantava, ai miei, tempi «i goliardi hanno sempre vent'anni...e quella cosa girata all'insù»), è cazzuto e narcisista insieme, maestro di pallone e monello. Mi ha detto un giorno Zamparini: «Macché razzismo! Col carattere che ha, Balotelli lo fischierebbero anche in Africa...». Ma averne. Chiedo da tempo a Lippi che lo porti in Nazionale, ma attenuerò le mie invocazioni. Non vorrei che il CT - lasciandolo a casa - fosse accusato di razzismo. E dico infine a Totti: complimenti, Francesco, sei diventato anche un saggio. I «Puponi» crescono, crescerà anche Balotelli.

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