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Se gli sponsor scelgono solo i grandi eventi

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Se si vuole misurare il tempo che è passato, e col tempo i cambiamenti che sono intervenuti dentro e intorno a noi partendo dallo sport, si possono scegliere due personaggi: uno, Chiappella, protagonista di una vicenda fiorentina intrisa di sudore e di fedeltà, come si addiceva al calcio di oltre mezzo secolo fa; l'altro, Schumacher, grande pilota della Ferrari fino all'altro ieri, che pareva si fosse ritirato, anzi che fosse stato costretto a ritirarsi per certi guai muscolari, e viceversa qualche settimana fa ha annunciato - forte dei sette titoli mondiali conquistati al volante di un bolide dalla casa di Maranello - di aver firmato un contratto per tre anni con la Mercedes alla modesta tariffa di sette milioni di euro da incassare ogni dodici mesi.   Del povero e indimenticabile Beppe si dubita che abbia intravisto neppure un decimo della cifra in tutta la carriera, compresi i contratti firmati come allenatore del grande pilota tedesco presentato come un «eroe nazionale» della patria germanica, il suo ex-datore di lavoro Luca di Montezemolo ha garantito che Michael gli aveva giurato di aver chiuso la carriera con la Ferrari e che, di conseguenza, il nuovo pilota della Mercedes deve essere un omonimo. D'altro canto, non v'è da stupire se le dimensioni dello sport-spettacolo si sono tanto ingigantite nei decenni, considerando le conseguenze della TV in diretta, della guerra fredda magistralmente vinta dal presidente Reagan sui gerarchi sovietici e del trionfo che ne è seguito per l'economia di mercato (compresa qualche complicazione tra precariato e spiritose invenzioni bancarie). In una società che ha rinunciato alle crociate ideologiche, ha molto spazio e molta fantasia per la giovinezza trionfante delle signorine e dei giovanotti che si battono pacificamente (o quasi) dinanzi agli obiettivi della televisione in diretta e ad alta definizione. Giorni fa, quello agonistico veniva definito «un veicolo straordinario di comunicazione» e i relativi investimenti per le sponsorizzazioni, calati in quasi tutti gli altri impieghi pubblicitari, sono stati registrati in aumento, soprattutto quando a proclamare le virtù del prodotto sono i campioni dei due sessi. Naturalmente, a questo dispiegamento di virtù dell'articolo e del suo celebre usufruttuario, corrisponde un processo selezione e di concentrazione: le gare pubblicizzate sono tutte mondiali e olimpiche; i tornei a squadre vengono esaltati soltanto in chiave di eccellenza, tipo Champions, con selezioni che durano tutto l'anno, oscurando o attenuando l'attività normale.   Le serie inferiori stentano a trovare spazio e valsente, anche quando organizzano campionati che coinvolgono centri ricchi di popolazione e di entusiasmo; spesso diventa un problema mettere insieme consigli direttivi e reperire anche modesti capitali. Il modello, che comincia a delinearsi anche in Italia, è quello della Lega Americana di Basket, che ha cancellato l'ipotesi del meccanismo promozione-retrocessione così caro, et pour cause! ai fondatori dello sport moderno. La tendenza della Lega Americana, la NBA, è assi meno pericolosa, comunque per i paesi, come appunto quelli anglosassoni, che accanto allo sport-spettacolo curano la diffusione e la pratica quotidiana della cultura fisica. Per noi, che stiamo appena aprendo un discorso tra governo, scuola e CONI per attivare un minimo di attività motoria, sono dolori.  

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