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Il pirata a quasi 40 anni direbbe così

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Sonqui, nella famosa isola segreta con Elvis, Jim Morrison, Kurt Cobain e Moana Pozzi, la gente pensa che siamo morti ma la verità è che ci siamo volontariamente autoeclissati, stanchi della vita di là. O forse questa non è la verità, forse è solo leggenda. Ma io non sono forse una leggenda? Marco Pantani da Cesenatico. Tra meno di un mese avrei festeggiato i miei primi 40 anni. Se non fossi venuto sull'isola segreta, sarei ancora in sella a una bicicletta, ne sono convinto. Non avrei fatto passare impunita la prosopopea del fumetto americano, questo qui che torna dopo 3 anni e pretende di dettare ancora legge. Gli avrei fatto fare i conti con me, gli avrei fatto scontare l'ostracizzazione con cui mi colpì - in combutta col patron Leblanc - per non avermi tra i piedi al Tour: se la faceva sotto da quando, nel 2000, con 200 km di allenamento nelle gambe, per poco non lo facevo saltare in aria. Ma in realtà non voglio parlare di quello che è successo a me. Non voglio ricordare gli anni di ingiustizie e di infamie a cui sono stato sottoposto. Da qui tutto è lieve, anche i ricordi peggiori, anche le facce di quei papaveri che, dopo che mi incastrarono a Campiglio, mi avrebbero voluto come testimonial dello sport pulito - loro che avevano e hanno armadi pieni di scheletri - e non sapevano che il Pantani si sarebbe spezzato ma mai piegato alle loro logiche ipocrite e mistificatorie. Certo, sono ancora tutti lì, guidano grandi enti e grandi industrie e grandi organismi sportivi internazionali, mi dovrei arrabbiare al pensiero. Ma sono sereno, perché so che la verità verrà fuori. Sono sereno e voglio parlare di questo ciclismo senza Pantani. L'anticiclismo, come dice qualcuno. In effetti non si può non notare la mediocrità che emerge dai grandi giri, non si può fingere di divertirsi guardando tutti i favoriti in gruppo pedalare senza scattare mai, senza attaccare da lontano, aspettando gli ultimi 3 km dell'ultima salita di giornata per tentare qualcosa. Hanno paura, questa è la verità. Ma non è la paura di saltare, quella ce l'avevo anche io e ce l'avevano pure Coppi e Bartali, ne sono certo. A volte si va in fuga e poi direttamente in apnea, succede. Può succedere sempre, la crisi è comunque dietro l'angolo, quando non te l'aspetti ti fa bù. Lo metti in conto, fa parte della professione. No, questi ragazzi in realtà hanno paura di provarci, di osare, di mettersi in mostra: cosa gliene viene, cosa ci guadagnano a fare una fuga di 3 o 4 colli alpini? Sospetti, bene che vada; una positività, nella maggior parte dei casi; una visita della Guardia di Finanza, hai visto mai. Ve la ricordate la mia prima impresa sul Mortirolo, quella del '94 quando misi in croce Sua Maestà Indurain? V'immaginate se la facessi oggi, in questo ciclismo, come verrebbe accolta? Ululerebbero, darebbero per scontato che questo pazzo venuto fuori dal nulla avrebbe qualcosa di losco da nascondere. Hanno ragione, questi ragazzi, chi glielo fa fare? Tanto i giri si vincono anche guadagnando 10" al giorno, senza dare troppo nell'occhio. Perché l'Unione Ciclistica Internazionale in realtà non si interessa troppo ai pesci piccoli, ho visto quest'anno correre tranquillamente quel Rubiano, che pure era squalificato da un anno... No, all'UCI interessa fare sensazione, interessa colpirne uno per educarne nessuno, perché poi tolto di mezzo il corridore superstar e urlato ai quattro venti che si combatte il doping, tutto continua come prima. Anno dopo anno dopo anno dopo anno.

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