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Ma allora è vero.

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Nonè soltanto una sindrome nerazzurra, con la truppa di Moratti che insegue da anni una celebrazione internazionale - coerente col nome - inutilmente. Qui il discorso è generalizzato. Qui, quando c'è la Champions di mezzo, l'Italia va a fondo. Per carità, la generalizzazione ha le sue eccezioni. Ma sono poche e comunque non tali da smontare il teorema. Perché? Semplice. Lo ha spiegato senza peli sulla lingua Gigi Buffon. Uno che va dagli ultrà a dire: smettetela con questi cori su Balotelli, non ha problemi a presentarsi davanti alle telecamere e spiegare. Che in Italia se sei un po' solido - rosa abbondante, giocatori tosti - te la cavi. Ma se vai in Europa, col calcio che conta, serve un gioco, una personalità e allora, ecco, i nodi arrivano al pettine. Per la Juve, per l'Inter - un po' meno per il Milan (ma quella è una questione che attiene al dna della formazione di questi ultimi vent'anni) - per le romane (ricordate la Champions della Lazio e quella della Roma). Si festeggia la Fiorentina quest'anno, qualificata con un turno d'anticipo, ma questa performance fa il paio con la scabrosa eliminazione di un anno fa e dunque necessita di ulteriori conferme. Ora potrà anche andare bene accontentarsi di essere i primi in Italia (ma il primo tifoso dell'Inter Massimo Moratti, non lo è), ma se diventi piccolo piccolo in Europa, qualcosa di cronico c'è. C'è anche un made in Italy che non funziona più, almeno a livello di giocatori. Toni è in rotta con il Bayern, Grosso se n'è tornato in Italia dopo le molte ombre di Lione, Giuseppe Rossi fatica con un Villareal in frenata prolungata. Insomma, anche gli italiani all'estero non tirano. Ed il pensiero, fatalmente, si spinge un po' più in là, a quell'11 giugno del 2010, quando in Sud Africa comincerà il mondiale che ci vede detentori della coppa. Gioco poco, nostalgia di Totti, chiusura ai limiti del masochismo per Cassano. Il gruppo va bene, ma qui Lippi - e il calcio italiano - si devono rendere conto che l'onda lunga del 2006 s'è esaurita da tempo. Che per vincere oltre confine - come dice Buffon, uno che qualche partita internazionale l'ha giocata - ci vuole organizzazione, oltre che muscoli e talento. A Ferrara sono fischiate le orecchie e girate le scatole, ma anche il suo mentore Lippi non deve fare orecchie da mercante. Altrimenti questa delusione novembrina, suddivisa tra tante tifoserie, rischia di coagularsi a giugno e tingersi tristemente d'azzurro.

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