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Quegli epici 12 minuti la base su cui costruire il futuro del movimento

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Quelladi ieri a San Siro non è la solita «onorevole sconfitta». Piuttosto, siamo di fronte a una vittoria morale in piena regola. L'Italia è stata battuta, non vinta. Anzi, quei fantastici, indimenticabili dodici minuti a cinque metri dalla gloria resteranno nella storia del rugby italiano e, c'è da giurarci, verranno vissuti in Nuova Zelanda come una vera disfatta. In quella terra il rugby è qualcosa di estremamente serio e la mischia ordinata ne è la stessa essenza. Di più, ogni rugbista sogna di essere protagonista di un'azione come quella degli Azzurri. Sogna di schiacciare l'avversario con le spalle alla sua area di meta, sogna di umiliarlo ripetutamente in mischia ordinata facendogli sentire la sua superiorità fin dentro le ossa, nella carne, nel profondo del suo animo di guerriero sconfitto. Poi, sogna di raccogliere i frutti della sua superiorità, i punti, la meta. Ecco, a Parisse e compagni è mancato solo il raccolto ma la colpa, stavolta, è solo di un arbitro incapace. Loro hanno dimostrato di essere in campo come e più degli All Blacks, hanno inferto alla loro credibilità un colpo duro, hanno gettato le basi per vittorie future. Da qui è necessario ripartire per costruire un Sei Nazioni 2010 all'altezza di 80.000 cuori azzurri.

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