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Moriero: "Per il Frosinone è inutile andare in serie A"

L'allenatore del Frosinone Francesco Moriero

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Una giornata di sole riscalda gli sportivi e le famiglie che seguono con passione e silenzio il lavoro della squadra della città, il profumo dell'erba appena tagliata rende il terreno di gioco una lastra color smeraldo, l'entusiamo dei calciatori rimbomba nell'impianto del Casaleno. Sembra una favola d'altri tempi. In mezzo al campo Moriero sistema con precisione chirurgica i paletti, i birilli, gli ostacoli, creando insieme al preparatore atletico il percorso da far compiere ai propri giocatori. Poi, ripetuti fino alla noia gli schemi da memorizzare in vista della partita con l'Ancona. Eccolo spiegato il Frosinone di Francesco Moriero, leader indiscuso della serie cadetta con 21 punti in classifica. Lavoro, entusiamo, umiltà: è questa la ricetta vincente di uno dei tanti figli di Mazzone che il «sor Carletto» ha plasmato a sua immagine e somiglianza sin dai tempi di Lecce. Frosinone sembra un sogno, l'isola felice del calcio. Ma proprio come il suo padre putativo, anche Moriero le cose non le manda certo a dire. E allora, via alla conferenza-denuncia dell'allenatore ciociaro.   Moriero, ci parli del sogno Frosinone. «Il sogno appartiene ai tifosi, ed è giusto che i nostri sostenitori possano sognare. Io resto con i piedi per terra, so che verranno anche i momenti difficili, il mio è un progetto umile».   Il segreto di questo successo? «Ho un gruppo di giocatori straordinari che lavora con umiltà, impegno ed entusiasmo. Ognuno di loro ha una storia particolare alle spalle, ognuno è pronto a mettersi in discussione per il bene della squadra». Ci faccia un esempio. «Il brasiliano Calil. Arrivò in Italia nel 2007 in compartecipazione tra Fiorentina e Siena, ha fatto due presenze in serie A coi bianconeri, poi me lo sono ritrovato a Crotone in Serie C. In serie A i club non hanno tempo di aspettare la maturazione dei giovani. Faceva la seconda punta, ha cambiato ruolo e ora è uno dei migliori trequartisti del campionato». Quanto crede alla promozione in serie A? «Sono contento dei risultati della squadra e consapevole che anche ad Ancona faremo benissimo, perchè la squadra sta bene. Ma è altrettanto vero che questi risultati stanno arrivando solo grazie ai grandi sacrifici di tutta la squadra: siamo primi, ma lavoriamo con problemi enormi». Ci faccia capire meglio. «Questo successo è frutto del lavoro del presidente, dello staff tecnico e della squadra. Nessun altro sta facendo qualcosa per aiutarci a regalare un sogno alla città. Sarebbe inutile andare in serie A: non abbiamo stadio, non abbiamo strutture adeguate, ogni giorno dobbiamo elemosinare un impianto per poterci allenare. E se piove, il terreno di gioco diventa un campo di patate e la squadra non si può allenare per due giorni. Le persone che contano non fanno niente per cambiare la situazione, eppure basterebbe poco. Ma ci vuole tanto per fare uno stadio?». Quanto è penalizzante? «Moltissimo. Siamo costretti ad andare in trasferta due giorni prima per allenarci in modo adeguato, e questa cosa non mi fa sentire alla pari con le altre squadre. Per il resto, conosco la mia creatura: so che questa squadra può arrivare fino in fondo, la lungheza del campionato non ci fa paura». L'allenatore a cui si ispira? «Ne ho avuti molti in carriera, ma con Mazzone c'è un rapporto particolare. Ci sentiamo spesso, così come sento Gigi Simoni, grande gestore del gruppo». L'esperienza più significativa sulla panchina? «Ho allenato alcuni mesi l'Africa Sport, in Costa d'Avorio. Dal punto di vista umano è stato stupendo. C'erano ragazzi che affrontavano 4 ore di viaggio per venirsi ad allenare. Insegnavo calcio, ma cercavo di spiegare loro il mondo del professionismo. Ho ospitato 40 persone a casa mia a pranzo per spiegare loro l'alimentazione che avrebbero dovuto seguire, e li andavo a trovare nei villaggi. In Italia siamo troppo materialisti, lì c'è la vera passione per il calcio. Il sorriso di quei ragazzi vale più di ogni altra cosa: l'Africa è il futuro».  

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