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Troppi record «antichi» Porte chiuse per i giovani

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IMondiali di Berlino hanno evidenziato lo stato di crisi dell'atletica italiana, resa di dominio pubblico e amplificata da una imponente copertura televisiva. La stessa TV ha poi fornito lo spettacolo deprimente dei recenti Campionati italiani di Società. Per avere un quadro della situazione ritengo opportuno fare ricorso ad elementi statistici, che valgono più di ogni altra considerazione. Limitandoci al campo maschile, esaminando la tabella dei record italiani notiamo che tutti i primati nelle gare di corsa sono stati stabiliti nel secolo scorso, con un'anzianità massima di 36 anni negli 800 (1'43"7 di Fiasconaro nel 1973), di 30 nei 100 e 200 (10"01 e 19"72 di Mennea, nel 1979), di circa un ventennio nei 3000 siepi, nei 10.000, nei 5000 e nei 1500 (8'08"57 di Panetta nel 1987, 27'16"50 nel 1989 e 13'05"59 di Antibo nel 1990, 3'32"78 di Di Napoli nel 1990). Stabiliti alla fine degli anni '80 anche i record di peso, alto e disco. Ancora più eloquenti le graduatorie nazionali di ogni tempo: sempre in campo maschile, circa l'ottanta per cento delle migliori dieci prestazioni hanno almeno un decennio di vita. Le specialità più in ritardo sono 3.000 metri, 800, 1500, 5000, 10.000, 3000 siepi, asta, peso. A completamento, ricordiamo che il primato della 4x100 ha 26 anni (Tilli, Simionato, Pavoni e Mennea, 38"37 ad Helsinki 1983) e quello della 4x400 ne conta 23 (Bongiorni, Zuliani, Petrella e Ribaud, 3'01"37 a Stoccarda 1986). È il caso di chiedersi cosa sia successo in un quarto di secolo per provocare un così brusco arresto. In realtà si sono accumulate tante componenti negative. Partendo dalla base, ricordiamo la pratica abolizione dei Giochi della Gioventù e di altre manifestazioni giovanili, i campionati studenteschi ideati da Bruno Zauli, molte leve di propaganda, il Concorso Esercito-Scuola che mobilitava annualmente migliaia di ragazzi. Aggiungiamo la trasformazione degli Istituti di Educazione Fisica, che un tempo prevedevano per tutti i neo-diplomati anche la frequenza del corso per Assistenti tecnici nella Scuola Nazionale di atletica di Formia. La progressiva «demolizione» dei Centri Federali di allenamento, da Formia a Tirrenia, da Schio alla stessa Ostia. Il disimpegno dell'Industria nel suo interessamento verso l'Atletica. Scorrendo la classifica dei Campionati di Società del 1979 spiccano i nomi di Fiat Iveco e Fiat Sud Formia, di Snia, Snam, OM Brescia, Telettra Rieti, Pro Patria AZ Verde, Fiamma Molinari: tutte grandi aziende legate all'atletica. Aggiungiamo, ancora, il diminuito impegno dei Centri Sportivi Universitari. Cosa fare, a questo punto? Basterebbe riattivare tutto ciò che nel tempo è stato distrutto. I miei ricordi di cronista non possono non riandare a quando nel 1969 germogliò in Italia il cosiddetto «Rinnovamento», un movimento spontaneo che intendeva rilanciare l'atletica italiana e che scelse come suo leader Primo Nebiolo. Ma tutti erano impegnati al massimo: le Società tradizionali, le Università, i Militari, l'Industria, i più organizzati tra gli Enti di Promozione, gran parte del mondo della comunicazione. Tante cose vennero rifondate: il Consiglio, l'Esecutivo, il Settore Tecnico, la ricerca tecnico-scientifica con un Centro studi e ricerche che fu per lunghe stagioni punto di riferimento per l'intero sport nazionale, il miglioramento e la creazione di nuovi impianti, la comunicazione nella sua interezza. Tanto lavoro e tanta immaginazione. I risultati arrivarono copiosi. E festeggiammo tutti assieme una vera rinascita della disciplina.

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